Alcamo, caccia a documenti rubati: vent’anni fa episodio analogo
Nei giorni scorsi la Dia ha perquisito l’ufficio anagrafe del comune Alcamo a caccia di documenti perchè alcune carte di identità sarebbero state usate dal boss Messina Denaro. In passato un episodio analogo sarebbe già avvenuto. Circa vent’anni fa, una carta d’identità originale rilasciata dallo stesso ufficio, venne trovata in possesso del boss Giuseppe Ferro, pentitosi nel 1997, quando scoprì che il figlio Vincenzo, medico, che era finito anche lui in carcere nel corso di un blitz contro Cosa nostra alcamese, aveva iniziato a collaborare. Per la tessera a Giuseppe Ferro che in città incuteva paura, venne indagato e condannato un impiegato comunale, nel periodo in cui era molto forte e quasi si toccava con mano la presenza della mafia in città anche con tanti giovani rampanti legati ai corleonesi che aveva sterminato a colpi d’arma da fuoco i fedelissimi della storica famiglia dei Rimi.
Giuseppe Ferro era considerato un boss di prima grandezza. Elemento di spicco dello zoccolo duro dell’ala stragista dei corleonesi. Un mafioso che durante le riunioni della cupola poteva permettersi il lusso di contraddire Totò Riina, come hanno raccontato alcuni collaboratori.
Era legato da amicizia in particolare col cognato del boss dei corleonesi Leoluca Bagarella. Tra i suoi tanti arresti figura la cattura nella aprile del 1985 assieme a Vincenzo Milazzo, poi ucciso, nel cortile del magazzino di contrada Virgini, dove venne scoperta, quella che gli inquirenti, definirono la più grande raffineria d’Europa. Imputato per le stragi del 1993, scoprì nell’isolamento del carcere che quel figlio era diventato un collaboratore di giustizia.
Poi il grande salto del boss, nel settembre del 1997, quando per la prima volta, almeno nella provincia di Trapani, a pentirsi non fu un giovane uomo d’onore insofferente al carcere duro, bensì un personaggio di spicco della vecchia guardia, abituato alla sofferenza del carcere dove è stato rinchiuso per lunghi anni simulando di essere gravemente malato. L’escamotage dell’infermità gli ha permesso di tornare per diverse volte in libertà. Il pentimento del figlio lo indusse a diventare con le sue dichiarazioni un importante collaboratore di giustizia in quanto conoscitore dei più reconditi misteri di cosa nostra nella stagione delle stragi.
Giuseppe Ferro è anche entrato nel processo sulla trattativa Stato-Mafia. Ha deposto nel luglio del 2018 nel processo “Ndrangheta stragista, dove tra gli imputati c’erano i fratelli Graviano. Ferro ha raccontato anche di avere partecipato ad una riunione a Bagheria insieme al castellammarese Calabrò, alla presenza di Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella.
di Giuseppe Maniscalchi