Operazione Jato Bet, dall’inchiesta emerge il ruolo di primo piano di un infermiere
Nella nuova organizzazione mafiosa di San Giuseppe Jato un ruolo di primo piano l’avrebbe avuto l’infermiere Maurizio Licari. Come riporta oggi il Giornale di Sicilia in edicola, l’uomo di 52 anni si sarebbe occupato di gestire la cassa e riscuotere “in tre occasioni quella che sembrava essere la messa a posto da 400 euro dal Pianeta scommesse”. L’agenzia di corso Umberto I era diventata una sorta di bancomat per il clan. I pagamenti di 400 euro, registrati dai carabinieri, sarebbero avvenuti il 3 febbraio, l’11 marzo e il 20 aprile del 2017 e sempre con 8 banconote da 50 euro. A Pasqua, oltre ai consueti 400 euro, ci sarebbe stato anche un pagamento aggiuntivo per le famiglie dei detenuti da parte del gestore Antonio Gioacchino Ferrante. Gli arresti dell’operazione “Jato Bet” arrivano al termine delle indagini dei carabinieri della locale stazione e del nucleo di Monreale coordinati dal Procuratore aggiunto Salvatore De Luca della Direzione Distrettuale Antimafia. Le ipotesi di reato contestate sono associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico. Sei degli indagati vengono ritenuti affiliati alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato. Le indagini risalgono al periodo compreso tra il febbraio del 2017 e novembre del 2019, durante il quale i carabinieri hanno accertato estorsioni ai danni di un centro scommesse di San Giuseppe Jato e richieste di pizzo da 50 euro agli ambulanti durante la festa dell’Anime Sante. Secondo gli inquirenti i proventi servivano per le famiglie dei mafiosi in carcere. E’ stata documentata anche l’attività imprenditoriale nel settore edilizio, sia nella valle dello Jato che a Palermo, dove però era prevista la cosiddetta “messa a posto”. I mafiosi jatini versavano –infatti- somme ai “colleghi” delle famiglie palermitane. I carabinieri hanno documentato anche la cessione di sostanze stupefacenti nei mandamenti mafiosi di Santa Maria del Gesù e Porta Nuova e San Giuseppe Jato. A guidare il gruppo sarebbero stati due esponenti che si trovano da anni in carcere: il capo mandamento Ignazio Bruno e il suo autista Vincenzo Simonetti. I due avrebbero mantenuto stabili contatti con altri associati. In particolare con Calogero Alamia, nipote di Antonino che s trova in carcere perché ritenuto il “cassiere” del mandamento, e l’infermiere Maurizio Licari. Il giovane Alamia avrebbe avuto anche un ruolo “diplomatico” all’interno del gruppo: nell’estate 2018 avrebbe mantenuto l’unità del gruppo pacificando i contrasti tra membri che ambivano alla reggenza. Tra gli altri indagati, ritenuti “partecipi dell’associazione mafiosa”, figura un altro nome noto: Giuseppe Bommarito, che ha alle spalle una condanna a 10 anni e 6 mesi di reclusione per mafia. Agli arresti anche i figli Calogero e Giuseppe Antonio. Così come Nicusor Tinjala. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Massimiliano Giangrande, al quale non viene però contestato il reato associativo.