Tragedia Nuova Iside, i legali dell’armatore in manette parlano di “equivoco processuale”
Ventiquattro ore dopo gli arresti disposti dalla Procura di Palermo per l’affondamento del motopesca “Nuova Iside” della marineria di Terrasini, in cui persero la vita Matteo, Vito e Giuseppe Lo Iacono, i legali di Raffaele Brullo, armatore della petroliera Vulcanello finito in manette insieme al comandante e ad un ufficiale della nave che avrebbe provocato il naufragio, hanno diffuso una nota con cui evidenziano l’estraneità ai fatti del proprio assistito.
“In merito all’inchiesta giudiziaria sulla scomparsa del peschereccio Nuova Iside, affondato a largo di San Vito Lo Capo il 12 maggio del 2020 – scrivono gli avvocati Filippo Dinacci e Giovanni Di Benedetto – dalla semplice lettura dell’ordinanza di custodia cautelare emerge come non sia addebitata al loro assistito alcuna condotta concreta dallo stesso posta in essere e che, pertanto, si è in presenza di un equivoco processuale che ci auguriamo la stessa magistratura chiarirà quanto prima”.
Il 76enne Raffaele Brullo, apparso anche in tv nell’inchiesta giornalistica condotta nei mesi scorsi dal format Le Iene, si trova sottoposto agli arresti domiciliari con l’accusa di frode processuale e favoreggiamento personale. Secondo gli inquirenti, autorizzando la sovrapitturazione della “Vulcanello” poco dopo la collisione con la “Nuova Iside”, avrebbe aiutato l’equipaggio con l’intenzione di nascondere le possibili prove dello scontro. Secondo quanto riporta l’ordinanza della misura cautelare, Brullo “ha manifestato una spiccata propensione a delinquere volta a mascherare lo stato dei luoghi e a frapporre ostacoli alle investigazioni al fine di proteggere i membri dell’equipaggio nonché gli interessi economici della società da lui amministrata a fronte delle possibili rivendicazioni di carattere risarcitorio derivante dai gravi fattori occorsi”.
Nel provvedimento di custodia cautelare emesso dal Gip di Palermo Annalisa Tesoriere anche nei confronti del 46enne Gioacchino Costagliola e del 27enne Giuseppe Caratozzolo, finiti in carcere a Poggioreale e a Palmi, si legge ancora che “a seguito dello speronamento è derivato l’affondamento del peschereccio e la morte dei componenti l’equipaggio” e che “dopo l’impato, sebbene il personale in plancia abbia avuto contezza di anomalie nulla è stato fatto per accertare cosa fosse successo, nessun segnale di allarme è stato inviato: la petroliera ha proseguito la propria rotta”. A loro vengono contestati i reati di omicidio colposo e omissione di assistenza a navi o persone in pericolo. Una misura cautelare è stata disposta anche per il timoniere 54enne Mihai Jorascu di nazionalità romena.
In una intercettazione telefonica emerge una conversazione eloquente tra gli indagati : “quell’altra minchiata che lui ci ha fatto ripitturare la nave – dicono – lasciamo perdere va… ora loro vogliono sapere con quel fatto che hanno ripitturato la nave… ora va a finire che sono state nascoste le prove …”. Un’altra intercettazione emersa nell’ordinanza rivela le affermazioni fatte da un componente dell’equipaggio che dice: “il comandante ha la responsabilità della situazione… tu hai sbagliato che permetti tutt’ora che gli ufficiali si portino il telefonino sopra il ponte… il comandante stesso va a mettere la musica pure in plancia… non è che dà un buon esempio”. Tutti dettagli che insieme agli altri elementi raccolti, per il procuratore aggiunto Ennio Petrigni e del sostituto Vincenzo Amico, “comprovano le loro responsabilità su quanto accaduto il 12 maggio dello scorso anno al largo di San Vito Lo Capo”.
“Noi vogliamo giustizia”, continuano a ripetere i familiari delle vittime. Sia Cristina Alaimo, vedova di Giuseppe Lo Iacono che, Rosalba Cracchiolo, madre di Vito e moglie di Matteo Lo Iacono, hanno sempre detto a gran voce di essere certe che non si sia trattato di una fatalità dovuta al maltempo o di un incidente autonomo e, adesso che ormai hanno sepolto i propri cari riavuti senza vita dal mare, desiderano solo che “chi ha sbagliato, paghi”.