San Cipirello, ricorso dell’ex sindaco Geluso al tar del Lazio contro lo scioglimento
Si riunirà il 6 novembre a Roma la camera di Consiglio del Tar del Lazio per pronunciarsi sul ricorso presentato dagli ex amministratori comunali. Sarà la prima sezione del tribunale romano a valutare se la decisione di sciogliere il consiglio comunale possa considerarsi legittima in termini amministrativi. A ricorrere sono stati, infatti, l’ex sindaco Vincenzo Geluso e quasi tutta la sua maggioranza. Tranne Enza Feroce, che sedeva in Consiglio comunale, e Floriana Russo, che rivestiva invece la doppia carica di consigliere ed assessore. Ad assistere i ricorrenti sono gli avvocati Girolamo Rubino, Rosario De Marco Capizzi e Massimiliano Valenza. Il 19 giugno scorso, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno, ha deliberato lo scioglimento del Consiglio comunale di San Cipirello. In precedenza erano state rilevate ingerenze da parte della criminalità organizzata sull’azione amministrativa. Ma già l’indomani l’ex sindaco Geluso aveva annunciato la volontà di presentare ricorso. Sul suo profilo campeggia da sempre lo slogan: «Uno con la testa dura e che non molla mai». E dopo lo scioglimento per mafia si è perfino fatto tatuare su un braccio l’incitazione da stadio: «Never give up». Dovranno essere però gli avvocati, e non i suoi followers, a tentare di confutare il contenuto delle 250 pagine di motivazioni che hanno portato allo scioglimento. Un provvedimento che ruota prevalentemente proprio attorno alla figura di Geluso. Che in occasione delle elezioni del giugno 2017, secondo la relazione ministeriale, ebbe l’appoggio di alcuni esponenti delle famiglie mafiose locali. Sotto la lente di ingrandimento della Prefettura era finita proprio la figura dell’ex sindaco. A cominciare dai suoi trascorsi giudiziari da minorenne, quando venne arrestato e condannato, in concorso con altri, per furto, detenzione di armi e munizioni. Ma nel provvedimento si citano anche le più recenti denunce per peculato, percosse e minacce. E anche le frequentazioni con condannati per mafia. Si cita, in particolare il «bacio sulla guancia» con il boss Salvatore Mulè, davanti il seggio elettorale nell’aprile del 2008.
Ad inchiodare l’ex sindaco ci sono inoltre le sue numerose attività sui social, che confermerebbe per la Prefettura i rapporti di amicizia e le frequentazioni con persone contigue ad ambienti mafiosi. Nelle motivazioni dello scioglimento vengono scandagliate anche le posizioni degli ex assessori e consiglieri. Tra questi anche l’ex presidente del Consiglio Giovanni Randazzo: durante le elezioni una sua familiare era la fidanzata del figlio di Giuseppe Lo Voi, condannato in Cassazione a 18 anni di carcere. Il boss nel 2012 teneva in auto i facsimile elettorali di Randazzo. Nelle 250 pagine di relazione c’è anche l’affidamento nel 2018 dell’asilo comunale: un servizio da 410 mila euro finanziato dallo stesso Viminale che ne ha poi scoperto i lati oscuri. Durante l’acceso ispettivo è saltata fuori, infatti, «l’illegittimit à della procedura di aggiudicazione della gara». La cooperativa vincitrice assunse inoltre la sorella del presunto capo mandamento e moglie di un pregiudicato per mafia. Nell’edificio di Cozzo Reginella lavorava anche la nipote di Giuseppe La Rosa, l’ex collaboratore di giustizia accusato di avere ripreso frequentazioni e affari malavitosi. Così, come una figura vicina a Giuseppe Rumore, condannato per mafia ed un’altra legata al sorvegliato speciale Giuseppe Reda. Tra gli assunti c’era inoltre anche la moglie di un consigliere di maggioranza. Un intero capitolo è poi dedicato alla gestione del cimitero comunale: le ditte e i mezzi che si aggiravano tra i loculi apparterebbero a soggetti con frequentazioni mafiose.