Strage della casermetta di Alcamo Marina, i familiari del partinicese Mandala’ chiedono risarcimento allo Stato
Condannato ingiustamente all’ergastolo per la strage nella casermetta di Alcamo Marina e morto per un tumore durante la detenzione, arriva adesso dai suoi familiari la richiesta di risarcimento allo Stato, pari a 56 milioni di euro. Ad avanzarla Maria Timpa, moglie della vittima dell’ingiustizia, il bottaio partinicese Giovanni Mandalà e, i loro 5 figli. Attraverso i loro legali, hanno citato il Ministero della Difesa e in particolare l’Arma dei Carabinieri, che all’epoca indagò sull’eccidio avvenuto il 26 gennaio del 1976. Citati, come scrive oggi il Giornale di Sicilia, anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’omessa codificazione del reato di tortura, entrato in vigore due anni fa, ma all’epoca inesistente, il Ministero dell’economia e tre ex carabinieri. Ad oggi, né gli esecutori, né i mandati dell’uccisione dei carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, sono ancora stati identificati. La revisione dei processi ha assolto tutti gli accusati, all’epoca dei fatti, incensurati con sentenze passate in giudicato. Da qualche anno i tre alcamesi Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli e la famiglia di Mandalà, hanno presentato il conto allo Stato. Ferrantelli e Santangelo hanno incassato già un milione per ingiusta detenzione e alla Corte d’appello di Catania pende una nuova richiesta di quasi tre milioni di euro per errore giudiziario. Il processo per la richiesta dei Mandalà avrà inizio martedì tre settembre davanti ai giudici del tribunale civile di Palermo. I familiari di Mandalà, così come in tutti i processi di revisione già celebrati, sono difesi dagli avvocati Saro Lauria, Pardo Cellini e Laura Ancona, che hanno fondato l’associazione «Progetto Innocenti» per coloro che risultano vittime della giustizia. La revisione dei processi è stata possibile grazie alle dichiarazioni dell’ex brigadiere Renato Olino, componente della squadra antiterrorismo, che partecipò alle indagini. Nel 1976 Mandalà aveva 32 anni ed era un commerciante di vini di Partinico, incensurato e sposato. Nel suo magazzino vennero trovate le divise portate via dalla casermetta. Mandalà disse di non sapere niente. Quelle divise sarebbero state portate da Giuseppe Vesco, altro membro del commando che, si sarebbe impiccato nel carcere di Trapani. Il condizionale è d’obbligo perché ad oggi non si spiega ancora come possa esserci riuscito con un braccio solo. Mandalà comunque non venne creduto e venne condannato all’ergastolo.