Mafia. Carini, condannato a 14 anni il pentito Pipitone per quattro omicidi

Accusato dell’omicidio di Francesco Giambanco, Antonino Failla, Giuseppe Mazzamuto e Giampiero Tocco, è stato condannato in abbreviato a 14 anni il pentito di Carini Antonino Pipitone, il collaboratore già condannato all’ergastolo per l’uccisione del barista Giuseppe D’Angelo. Disposte pure provvisionali immediatamente esecutive da 50 mila euro a testa (complessivamente circa 350 mila euro) per le sette parti civili costituite, tutti familiari delle vittime. A dare notizia della sentenza è oggi il Giornale di Sicilia. Giambanco fu assassinato a Villagrazia di Carini il 16 dicembre 2000; Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, furono fatti sparire col metodo della lupara bianca a Carini, il 26 aprile 1999; Giampiero Tocco, sequestrato e ucciso a Torretta il 26 ottobre del 2000. Tutti vittime dello scontro tra i clan di Carini e Cinisi, tutti omicidi commessi sotto la regia e la supervisione dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Quando gli uomini di Cosa Nostra travestiti da forze dell’ordine sequestrarono Tocco, originario di Terrasini, l’uomo era in macchina in compagnia della figlia e solo dopo avere avuto la garanzia che la bambina non sarebbe stata toccata, seguì i killer. Era sospettato di avere avuto un ruolo nella sparizione di Giuseppe Di Maggio, detto Peppone, figlio del boss di Cinisi Procopio. Anche Peppone era stato sequestrato e ucciso e Tocco fu rapito per vendetta e per cercare di sapere chi fosse stato. Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto furono uccisi e sepolti sotto terra con la Fiat Uno con cui erano andati all’incontro organizzato per eliminarli. I corpi, nonostante intense ricerche e scavi effettuati dai carabinieri proprio a seguito del pentimento di Pipitone, non sono mai stati ritrovati. Furono puniti perché i Lo Piccolo li ritenevano responsabili della scomparsa di un loro familiare, Luigi Mannino, eliminato col metodo della lupara bianca nel 1999. Uno venne strangolato, l’altro assassinato con un colpo di pistola. Francesco Giambanco era sospettato di aver avuto un ruolo nella scomparsa di Federico Davì e in alcuni incendi. Fu rapito e poi gli venne dato fuoco nella sua auto. Il cadavere venne ritrovato carbonizzato.

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