La Guardia di Finanza sequestra 150 mila euro all’ex PM Antonio Ingroia

Nuovi guai per l’ex pubblico ministero antimafia Antonio Ingroia che, è finito sotto accusa per la gestione di Sicilia e.servizi, la società regionale che si occupa dei servizi informatici. Il nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo gli ha notificato un provvedimento di sequestro di beni per 150mila euro, l’equivalente di quanto avrebbe intascato, illegittimamente secondo l’accusa, durante la sua attività di amministratore unico e di liquidatore della società. Lo stesso provvedimento colpisce pure Antonio Chisari, revisore contabile della società che oggi si chiama Sicilia Digitale spa. Antonio Ingroia, che oggi svolge la professione di avvocato, è indagato per peculato da quegli stessi magistrati che fino a 5 anni fa erano suoi colleghi, ovvero il Procuratore Francesco Lo Voi, l’aggiunto Sergio De Montis e i sostituti Pierangelo Padova ed Enrico Bologna, contro cui l’ex pm annuncia battaglia legale. L’indagine è scattata dopo una segnalazione della Corte dei Conti, incuriosita da un articolo pubblicato sul settimanale l’Espresso che, nel febbraio 2015 dava conto dei rimborsi di cui avrebbe usufruito Ingroia nei tre mesi di lavoro svolti per la società a capitale pubblico delle Regione, per i voli aerei da e per Roma, dove adesso vive, e per alloggiare in costosi alberghi. Peraltro, si sarebbe auto liquidato una maxi indennità di 117 mila euro che, per la Procura di Palermo, avrebbe determinato un deficit di bilancio alla “Sicilia e-servizi”. Nei mesi scorsi, l’ex pubblico ministero nominato dal governatore Rosario Crocetta ha ricevuto due avvisi di garanzia per questa vicenda. Interrogato in procura, Ingroia ha rivendicato di avere rimesso in piedi un’azienda pubblica che faceva acqua da tutte le parti e di avere usufruito di compensi previsti dalla legge per gli obiettivi raggiunti. Un dato che la Procura contesta affermando, nell’atto d’accusa, che dal 2008 l’indennità di risultato ha una nuova disciplina che prevede la liquidazione delle somme “solo in presenza di utili e comunque in misura non superiore al doppio del cosiddetto compenso omnicomprensivo” e, a quanto pare, all’epoca, il compenso omnicomprensivo riconosciuto dall’assemblea della società era di 50 mila euro.

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