Mafia, il pentito carinese Antonino Pipitone svela piani di morte falliti dei boss Lo Piccolo

Avrebbe rivelato ai magistrati che, l’esecuzione di Giampiero Tocco, fosse stata preceduta da due agguati falliti. Il pentito carinese, Nino Pipitone, continua a svelare i retroscena del delitto del macellaio di Terrasini, mettendo a verbale nuovi particolari. Il collaboratore di giustizia racconta i piani di morte del clan di Carini e dei boss di San Lorenzo Salvatore e Sandro Lo Piccolo che, per vendicare la morte di Giuseppe Di Maggio, figlio dello storico boss di Cinisi Procopio, avrebbero ordinato due omicidi andati a monte. Uno riguardava un vicino di casa di Procopio Di Maggio, di cui Pipitone non ricorda il nome. Un uomo che la sera aveva l’abitudine di sedersi davanti alla porta di casa. Fatalmente, però quel giorno non uscì di casa e il tentativo andò fallito. Pipitone ha raccontato di essere stato alla guida di una fiat uno verde, e di avere a bordo Salvatore e Sandro Lo Piccolo, quest’ultimo seduto nel sedile posteriore, nascosto da una coperta e con un fucile a pompa in mano. La macchina ripassò più volte davanti l’abitazione del destinatario dall’agguato con il commando pronto per sparare, ma l’agguato fallì. Nell’interrogatorio dello scorso 22 marzo, al pm Roberto Tartaglia, Pipitone che ha già contribuito a far luce sul delitto di Giampiero Tocco, facendo scattare arresti, e tira in ballo nel piano di morte sfumato, lo zio Vincenzo Pipitone, Angelo Conigliaro e Gaspare Pulizzi, tutti con ruoli diversi. Giorni dopo sarebbe stato preso di mira un altro cinisaro che avrebbe avuto un ruolo sulla morte del figlio del boss Di Maggio, un sorvegliato speciale con l’obbligo di dimora a Terrasini. Ma anche in questo caso non sarebbero riusciti a centrare l’obiettivo.