Cassazione: “Totò Riina è malato, ha diritto a morte dignitosa”

La Corte di Cassazione apre alla possibilità di un differimento della pena o della concessione degli arresti domiciliari per il boss indiscusso di Cosa Nostra, Totò Riina, ormai 86enne, in relazione alle sue condizioni di salute. Con una sentenza, depositata ieri, la Suprema Corte ha accolto per la prima volta il ricorso presentato dai difensori del capo dei capi, annullando, con rinvio, la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, che finora aveva respinto ogni richiesta poiché sosteneva che le patologie del boss stragista potevano essere trattate anche in carcere.Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica del boss corleonese e la detenzione in carcere, visto che i suoi problemi di salute venivano monitorati costantemente, anche, quando necessario, nell’ospedale di Parma dove veniva periodicamente ricoverato. Ma secondo la Cassazione, i Giudici, nel motivare il diniego, avevano omesso “di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di decadimento fisico”. La suprema Corte sottolinea che il Tribunale di Sorveglianza deve verificare e motivare “se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un’afflizione di tale intensità” da andare oltre la “legittima esecuzione di una pena”.Il “diritto a morire dignitosamente” va assicurato ad ogni detenuto – scrive nella sentenza la Cassazione. “Fermo restando l’altissima pericolosità rappresentata dal detenuto Salvatore Riina e del suo indiscusso spessore criminale, il provvedimento non chiarisce se, lo stesso possa ancora considerarsi pericoloso considerata l’età avanzata e le gravi condizioni di salute”. Il provvedimento del Tribunale di sorveglianza, osservano ancora i giudici della prima sezione penale della Cassazione, “è carente di motivazione sotto il profilo dell’attualizzazione della valutazione sulla pericolosità del soggetto, tale da configurare quelle eccezionali esigenze che impongono l’inderogabilità dell’esecuzione della pena”.I giudici della prima sezione penale della Corte Suprema ritiene che, dalla decisione del Tribunale di Sorveglianza, non emerga in che modo si è giunti a ritenere “compatibile con il senso di umanità della pena , il mantenimento in carcere di un soggetto ultraottantenne, affetto da duplice neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa”, che non riesce più a stare seduto ed è esposto, in ragione di una grave cardiopatia, ad eventi cardiovascolari infausti ed imprevedibili”. La Cassazione si è così espressa, dissentendo con l’ordinanza dei giudici bolognesi che, adesso, sono stati chiamati a rivedere la propria decisione. L’udienza è stata fissata al prossimo 7 luglio.

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