La corte d’appello ribalta la sentenza di primo grado nei confronti dell’ex sindaco di Montelepre Giacomo Tinervia
I giudici della Corte d’appello di Palermo hanno condannato l’ex sindaco di Montelepre Giacomo Tinervia a 7 anni di reclusione per concorso in estorsione aggravata e induzione indebita a dare o promettere utilità.
Una sentenza che ribalta quella emessa in primo grado, nell’ambito del processo “Nuovo Mandamento” che, vedeva imputati diversi esponenti della mafia locale e dei territori di San Giuseppe Jato e Partinico, in cui invece era stato assolto per non avere commesso il fatto. In appello, la sua posizione era stata stralciata, infatti, nell’udienza di ieri in cui ha retto l’accusa mossa dai pm Sergio De Montis, Francesco Del Bene e Daniele Paci,Tinervia era l’unico imputato.
A carico dell’ex primo cittadino di Montelepre, vi sarebbero alcune intercettazioni in cui, il presunto capomafia Giuseppe Lombardo, avrebbe parlato di tangenti pagate a “Giacomino”.
Giacomo Tinervia, però si è sempre difeso, smentendo che, in quelle conversazioni telefoniche di terze persone si facesse riferimento a lui, e sostenendo che il “Giacomino” da questi mensionato fosse solo un omonimo.
Secondo l’accusa, Tinervia, avrebbe intascato una mazzetta da un imprenditore per conto del quale, successivamente, avrebbe pure mediato il pagamento del pizzo. In teoria, prima si sarebbe messo in tasca sette mila euro e poi avrebbe fatto da tramite, fra il presunto boss locale, Giuseppe Lombardo, e lo stesso imprenditore che, sarebbe stato costretto a versare 20 mila euro a Cosa Nostra per la “classica” messa a posto.
L’imprenditore, nel frattempo deceduto, assistito dall’avvocato Andrea Dell’Aira, avrebbe raccontato al suo legale presunte pressioni subite. Ma lo stesso mentre era ancora in vita, durante l’incidente probatorio, così come sostengono i legali di Giacomo Tinervia, Enrico Sanseverino e Luigi Mattei, avrebbe dichiarato di non avere mai ricevuto soldi da Tinervia ne, tanto meno avrebbe mai avuto sue richieste o da terze persone per conto dell’amministratore.
Ragion per cui, in primo grado, non aveva retto, al vaglio del giudice, l’ipotesi che Tinervia avesse chiesto soldi all’imprenditore che, stava ristrutturando la palestra del Centro Sportivo Pino Puglisi.
Nonostante la richiesta di condanna a 10 anni, infatti, nel primo procedimento giudiziario venne assolto con formula piena.
Ieri la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza. Tinervia resta, comunque a piede libero, in attesa che si pronuncia la Corte di Cassazione.
I suoi difensori, prima di esprimersi, attendono le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d’Appello, poiché ritengono inverosimile che i giudici non abbiano tenuto contro delle dichiarazioni dell’imprenditore fatte durante l’incidente probatorio e, quindi, messe a verbale che, hanno sempre reso il loro assistito estraneo ai fatti.