Il Pm Nino di Matteo resta a Palermo: “essere trasferito d’ufficio sarebbe come una resa”
Nino Di Matteo, il pubblico ministero del Processo Trattativa Stato-Mafia, ha deciso di restare a Palermo e quindi, ha rifiutato la proposta del consiglio superiore della magistratura di essere trasferito in via d’urgenza, per motivi di sicurezza, a Roma, alla direzione nazionale antimafia.
“Accettare un trasferimento d’ufficio connesso esclusivamente a ragioni di sicurezza sarebbe stato un segnale di resa personale e istituzionale che non intendo dare”, ha detto il pm nella sua audizione alla terza commissione dell’organo di autogoverno della magistratura. La mia aspirazione professionale di continuare a lavorare sulla criminalità organizzata trasferendomi alla Dna – ha aggiunto – si realizzerà eventualmente solo se e quando sarò nominato in esito a una ordinaria procedura concorsuale”.
Circa 20 giorni fa, un’intercettazione aveva rivelato che le attenzioni dei boss, nei confronti del magistrato palermitano, siano ancora alte; circostanza che preoccupa il Csm e che ha indotto la terza commissione ad ascoltare Di Matteo per ben due volte nell’arco di 20 giorni, affinchè riflettesse sull’enorme rischio che sta correndo.
Ma in entrambi i casi la sua risposta è stata negativa.
Tre anni fa, era stato intercettato il capo di Cosa nostra Salvatore Riina mentre lanciava un ordine di morte nei confronti di Nino Di Matteo parlando col compagno di cella Alberto Lo Russo, un boss pugliese.
Già allora erano scattarono misure di sicurezza eccezionali attorno al magistrato palermitano. Si era anche riunito il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza presieduto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. La scorta di Di Matteo era stata affidata ai carabinieri del “Gis”, il gruppo di intervento speciale.
Poi, qualche mese dopo, il boss Vito Galatolo che aveva deciso di collaborare con la procura di Palermo rivelò proprio a Di Matteo che un altro ordine di morte era stato lanciato nei suoi confronti dal superlatitante Matteo Messina Denaro, sostenendo che il tritolo per l’attentato fosse già arrivato a Palermo dalla Calabria e che si trovasse nella disponibilità del suo vice Vincenzo Graziano.
In realtà quell’esplosivo non venne mai trovato. Recentemente, però, il pentito Francesco Chiarello ha detto che : “Il figlio di Graziano, esultava in carcere poiché sosteneva che il padre, essendo stato scarcerato, aveva avuto la possibilità di spostare l’esplosivo”. Stando all’ultima intercettazione captata dagli investigatori, il piano di morte contro il pm Nino Di Matteo, sarebbe ancora attualissimo.