Il pentito di Carini Nino Pipitone svela gli affari della famiglia
Emergono nuovi particolari dal verbale depositato al processo in corso, anche per intestazione fittizia di beni, contro i familiari del neo pentito Nino Pipitone, ex capo del clan di Carini.
Il collaboratore di giustizia svela gli affari di famiglia, indicando anche falsi affittuari di ville ed aziende. Secondo quanto riportato oggi, dal Giornale di Sicilia, Nino Pipitone avrebbe raccontato ai magistrati che un certo Pinuzzo Candela di Torretta avrebbe fatto a suo padre il favore di intestarsi una villa di Partanna, dove, l’anziano boss Angelo Antonino Pipitone trascorse parte della sua latitanza.
“Candela, fratello di un mio zio di Torretta – avrebbe detto il pentito – per molti anni ha versato pure gli affitti, tentando poi di comprare l’immobile, ma la richiesta era alta e lui non è riuscito a comprarla. La stessa, venne poi acquistata da parenti dei Troia, non i mafiosi, ma gente che ha una ditta addetta per fare i pozzi e le trivellazioni”. Nino Pipitone rivela, inoltre, che in realtà quella casa sarebbe dovuta andare alla sorella Franca Pipitone, quando si è sposata, perche il marito, Giovanni Cinà è di Partanna, “ma mio padre – rimarcando i dissensi con il vecchio boss – neanche questo ha fatto, perché promette e non mantiene”.
Il pentito, infatti, ultimamente avrebbe pure evitato di incontrarlo in carcere, invitando la moglie a fare colloqui in giorni e orari diversi. Poi ha parlato della società “La Fattoria” di cui Nino Pipitone fu il primo amministratore.
“Fu costituita dall’avvocato Pecoraro – racconta il collaboratore di giustizia – anche le mie sorelle erano socie, avevamo tutti una percentuale. Questa società serviva per intestare i terreni che avevamo o che dovevamo comprare per lavorare con l’azienda agricola”. Un altro delle persone finite sotto processo è Francesco Marco Pipitone, cugino di secondo grado del pentito, figlio di Antonino Pipitone, cugino di Angelo Antonino. Sarebbe stato “il padre di Marco a curarsi della società, era proprietario, in quel capannone avevano le mucche assieme. Anche Angela Conigliaro, pure lei imputata nello stesso processo, so che è socia della stessa società, ma l’ho appreso dai giornali, è una bugia, non so per quale motivo è entrata a farne parte”.
Il pentito, infine, parla del cognato Benedetto Pipitone, solo omonimo dei boss.
“Lui – dice Nino Pipitone – ha un’arma regolarmente registrata, una calibro 22”. Un fatto che avrebbe rivelato per i rapporti con un altro anziano allevatore di Carini, Giovanni Cataldo; “quell’uomo aveva contrasti con i mafiosi, tant’è che gli ammazzarono due cavalli”.
I pm Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Francsco Del Bene sospetterebbero che, dietro questo atto intimidatorio, possa esserci stata la mano di Benedetto Pipitone, ma il pentito lo esclude definendo il cognato “incapace di fare queste cose” e aggiungendo che purtroppo “c’era un’intercettazione di un colloquio di mio padre con mia sorella che avrebbe alimentato i sospetti degli investigatori, dopo averla letta sui giornali gli chiesi perché avesse coinvolto Benedetto in queste cose e, per tutta risposta, mio padre mi disse di farmi i fatti miei”.
Il pentito Nino Pipitone non avrebbe mai perdonato il padre per avere inguaiato anche la madre, Franca Pellerito, le sorelle Epifania e Graziella e i rispettivi mariti.