Chiesti la sorveglianza speciale e l’obbligo di soggiorno per il deputato regionale Nino Dina
La sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, ha chiesto la sorveglianza speciale e l’obbligo di soggiorno per Nino Dina, parlamentare regionale già dell’Udc e ora iscritto al Gruppo misto.
Una misura preventiva che – se concessa – inibirebbe al deputato regionale, già alla quarta legislatura, di continuare ad esercitare il suo mandato.
L’udienza camerale in cui verrà discussa la richiesta dei pm è già stata fissata per il prossimo 20 dicembre.
Secondo i magistrati della Procura di Palermo, Dina è “socialmente pericoloso” per i suoi rapporti con esponenti di Cosa Nostra, venuti fuori nelle tante inchieste degli ultimi 10 anni, ma dalle quali è sempre uscito indenne, ad eccezione dell’ultima che lo ha visto finire per 24 ore agli arresti domiciliari per corruzione elettorale. Ed è proprio sulla base di questo materiale probatorio che i pm del “gruppo misure di prevenzione” coordinato dal procuratore aggiunto Dino Petralia hanno chiesto l’applicazione della misura di prevenzione personale nei suoi confronti.
A sostegno della richiesta, un dossier sulle diverse indagini in cui, dal 2005 ad oggi, è emerso il nome di Nino Dina.
Nel 2005, il pentito Nino Giuffrè lo indicò come vicino alle cosche, ma le sue dichiarazioni non ebbero alcun seguito, così come nel caso del processo delle “talpe” in cui emerse che, nelle tasche di Nino Dina viaggiasse il famoso tariffario della Sanità che Totò Cuffaro, allora presidente della Regione poi condannato nell’ambito dello stesso procedimento giudiziario, avrebbe concordato con Michele Aiello per le esose prestazioni convenzionate pagate dalla Regione alla sua clinica.
Ma il fondamento della richiesta di misura di prevenzione a carico di Dina scaturisce dall’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, che a settembre del 2014 portò all’arresto di cinque esponenti delle cosche di Palazzo Adriano; personaggi con i quali il parlamentare regionale avrebbe intrattenuto rapporti e ricevuto sostegno elettorale. Circostanza che, per i pm, nonostante Nino Dina abbia sempre negato, sarebbe stata provata dalle intercettazioni e dai filmati dell’inchiesta. In particolare, tre delle persone finite in manette in quell’operazione sarebbero state riprese, proprio mentre uscivano dalla sua segreteria politica.