Carini. Il pentito Pipitone riapre il caso della lupara bianca di Terrasini
C’è anche il delitto Tocco nei verbali che il neo pentito di Carini sta riempendo da quando ha deciso di collaborare. Nino Pipitone che non era nemmeno sospettato e adesso si autoaccusa dell’omicidio di Giampiero Tocco, inghiottito dalla lupara bianca nell’ottobre 2000. Per quel sequestro con omicidio ci sono già tre ergastoli ma ora l’indagine è riaperta.
Antonino Pipitone, riporta il Giornale di Sicilia, inquadra il delitto nella faida tra Terrasini e Cinisi e lo vede come una risposta alla sparizione di Giuseppe Di Maggio, figlio del patriarca di Cinisi Procopio Di Maggio, morto quest’anno dopo aver compiuto un secolo di vita.
Pipitone confessa e fornisce nuovi elementi agli investigatori e ai pm del pool coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, i sostituti Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi, Amelia Luise e Francesco Del Bene.
E ora al vaglio ci sono di nuovo le posizioni del boss e affiliati della zona.
Il 26 ottobre 2000 il macellaio di Cinisi era a bordo della sua Opel con la bambina, salvata dal padre, che si consegnò a patto che la figlia venisse lasciata stare. Lei chiamò con il telefonino la mamma e poi ricostruì ciò che aveva visto, disegnando un’auto della polizia col lampeggiante e un uomo con la paletta.
Tocco era sospettato di avere attirato in un tranello Peppone Di Maggio, fatto sparire e in quel momento non ancora ritrovato: il suo cadavere riemerse poi nelle acque di Cefalù.
La vittima designata era monitorata con le microspie in auto dai militari, che cercavano Di Maggio e che ascoltarono impotenti le fasi del sequestro e i pianti disperati della figlia.
I racconti di Pipitone sarebbero coincidenti quasi del tutto con le accuse di un altro pentito, ex boss di Carini, Gaspare Pulizzi, che venne arrestato insieme ai Lo Piccolo, due dei tre condannati alla massima pena per l’eliminazione di Tocco.