Delitto Impastato, chiesta ancora l’archiviazione dell’inchiesta sui depistaggi

La Procura di Palermo ha chiesto al gip, per la seconda volta, l’archiviazione dell’inchiesta sui presunti depistaggi avvenuti sull’omicidio di Peppino Impastato, il militante di Democrazia Proletaria assassinato a Cinisi il 9 maggio del 1978.

La prima istanza venne rigettata ad ottobre del 2012, dal gip Maria Pino, che aveva imposto nuovi accertamenti. Ma la motivazione che aveva sostenuto la richiesta di chiusura del caso, cioè la prescrizione dei reati contestati ai quattro indagati, è stata ritenuta insuperabile dai magistrati che sono tornati a chiedere l’archiviazione.

Il sostituto procuratore del capoluogo siciliano indaga dal 2011 sulle manovre messe in campo dai carabinieri dopo l’omicidio di Impastato. Iscritti nel registro degli indagati ci sono quattro militari dell’Arma che parteciparono alle perquisizioni in casa Impastato dopo l’omicidio dell’attivista antimafia di Cinisi: il generale Antonio Subranni per favoreggiamento, Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo per falso.

Subranni, attualmente è sotto processo per minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

A tirare in ballo, dopo oltre 30 anni, il nome dell’ex capo del Ros Subranni nella vicenda Impastato è stato il pentito Francesco Di Carlo, il quale ha raccontato ai magistrati che furono Nino e Ignazio Salvo, imprenditori mafiosi di Salemi, a rivolgersi a Subranni per fare chiudere l’indagine sulla morte di Peppino Impastato.

Il collaboratore ricordò di aver visto più volte l’ex capo del Ros negli uffici dei Salvo.

“Il boss di Cinisi Gaetano Badalamenti – raccontò Di Carlo – spingeva Nino e Ignazio Salvo per parlare col colonnello. Dopo poco tempo mi ha detto: ‘no, la cosa si è chiusa’. Non spuntava più niente nei giornali per un periodo, era stata archiviata”.

La notte in cui morì Peppino – aveva denunciato il fratello Giovanni Impastato in un esposto in Procura che fece aprire l’inchiesta – vennero a casa nostra e sequestrarono diversi suoi documenti che raccolsero in quattro grossi sacchi neri. Quando anni dopo chiesi la restituzione dei documenti mi riconsegnarono soltanto sei volantini. Tutto il materiale appartenuto a Peppino è sparito”.
Affermazioni che hanno spinto i pm della procura di Palermo a ricostruire i passaggi successivi alla morte del giornalista che metteva alla berlina il boss mafioso Tano Badalamenti.

I pm avevano scoperto una serie di discrepanze nell’inchiesta dei militari dell’Arma. Non era mai stata interrogata, per esempio, la donna che avrebbe potuto essere la testimone chiave dell’omicidio Impastato. Si chiama Provvidenza Vitale ed era la casellante di turno al passaggio a livello tra Cinisi e Terrasini la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. I carabinieri scrissero che era irreperibile. E invece, a parte una breve trasferta da alcuni parenti negli Stati Uniti, la donna non si sarebbe mai mossa dalla cittadina e, sebbene rintracciata, 35 anni dopo, l’ormai ultranovantenne avrebbe ricordato ben poco della notte dell’omicidio Impastato.

Gli inquirenti avrebbero anche messo le mani anche su un verbale redatto dai Carabinieri con scritto: elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe. Solo che il sequestro informale non è previsto dalla legge, ed è praticamente illegale. Agli atti dell’inchiesta anche un altro verbale, questa volta autorizzato e formale che certifica solo il sequestro di sei fogli tra lettere e volantini, che contenevano scritti d’ispirazione politica e con propositi di suicidio. “Da casa nostra però – ha sempre sostenuto Giovanni Impastato – portarono via anche molto altro”.

In ogni caso, la Procura di Palermo, sulla base delle normative inerente la prescrizione dei reati, ha inoltrato al gip la seconda richiesta di archiviazione sull’inchiesta.

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