Nuovo blitz antimafia a Borgetto: “interessi della mafia sui lavori pubblici”
La Compagnia Carabinieri di Partinico ha eseguito a 10 misure cautelari, emesse dal GIP del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura distrettuale, nei confronti degli esponenti della famiglia mafiosa di Borgetto, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni.
A partire dal 2012, i Carabinieri di Partinico, coordinati dalla Procura distrettuale di Palermo, hanno avviato un approfondito monitoraggio sulla famiglia mafiosa di Borgetto, con particolare riguardo alle figure di Antonino Giambrone e dei fratelli Tommaso e Francesco.
In carcere sono finiti: Nicolo’ Salto, 61 anni, Antonino Salto, 32 anni, Giuseppe Giambrone, 59 anni, Francesco Giambrone, 26 anni, Antonino Giambrone, 38 anni, Antonino Frisina, 57 anni, Giuseppe Toia, 48 anni.
Agli arresti domiciliari, invece: Francesco Petruso, 50 anni, Salvatore Petruso, 27 anni.
Nell’ambito della stessa inchiesta gli inquirenti si sono imbattuti anche nel giornalista Pino Maniaci che, per questioni diverse, viene indagato per estorsioni e per il quale il gip ha firmato una ordinanza di allontanamento dall’area di Partinico.
Sono quattro i capi d’accusa per Maniaci, sotto la voce “estorsione”. All’assessore di Borgetto Gioacchino Polizzi avrebbe imposto di comprare duemila euro di magliette antimafia e di pagargli tre mesi di affitto. Il sindaco di Borgetto avrebbe invece pagato 600 euro a Maniaci per comprare il suo silenzio. Il primo cittadino di Partinico avrebbe stipulato un contratto con la presunta amante del direttore di Telejato e quando il contratto sarebbe arrivato a termine avrebbe pagato di tasca sua 250 euro. E la donna avrebbe iniziato a lavorare in nero al Comune.
Gli elementi acquisiti, nell’ambito dell’inchiesta Kelevra, hanno evidenziato da subito il ruolo di comando assunto da Antonino Giambrone rivelando le dinamiche associative dell’organizzazione criminale.
L’11 febbraio del 2013 viene scarcerato Nicolò Salto, storico esponente mafioso in opposizione allo schieramento della famiglia Giambrone: una contrapposizione che aveva già condotto all’omicidio di Antonino Giambrone di 45 anni.
Nicolò Salto, tornato in libertà, avrebbe immediatamente di imporre la sua presenza sul territorio, talché i Carabinieri registrano i primi segnali di affermazione in alcuni danneggiamenti a imprenditori locali.
Nell’aprile del 2013, Antonino Giambrone viene arrestato nell’operazione “Nuovo Mandamento”.
Poco dopo, in un incontro su Corso Roma di Borgetto, Nicolò Salto rassicura il padre di Antonino Giambrone che il figlio non sarebbe stato abbandonato.
L’incontro segna una pax mafiosa tra clan rivali e l’affermazione di Nicolò Salto. Seguono fitti incontri tra le due famiglie che delineano il programma criminale sul territorio.
Il gruppo criminale, a questo punto diretto da Salto, si avvale dei Giambrone per la raccolta dei proventi estorsivi. Il sostegno logistico è fornito invece da Antonino Frisina, autista del boss Nicolò Salto.
Le attività tecniche hanno inoltre consentito di documentare l’interesse della compagine mafiosa a condizionare le scelte amministrative del comune di Borgetto, con particolare riguardo all’esecuzione di alcuni lavori pubblici.