Sei imprenditori indagati nell’inchiesta “Cemento del Golfo”
La Procura Distrettuale antimafia ha notificato anche 6 avvisi di garanzia nell’ambito dell’operazione Cemento del Golfo.
Destinatari sono altrettanti imprenditori di Castellammare che, nonostante le evidenti pressioni ricevute dalla mafia per l’acquisto del calcestruzzo, hanno negato tutto agli investigatori.
L’inchiesta, ha già portato, mercoledì scorso, all’arresto di Mariano Saracino, 69 anni, ritenuto capomafia della cittadina, l’alcamese Vincenzo Artale di 64 anni, fino a poche ore fa membro del collegio dei probiviri dell’associazione antiracket ed antiusura di Alcamo, Vito Turriciano 70 anni, Vito Badalucco 59 anni, Martino Badalucco di 35, tutti imprenditori accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, fittizia intestazione di beni, frode nelle pubbliche forniture e furto.
Le indagini, condotte dai carabinieri della compagnia di Alcamo e del nucleo investigativo del comando provinciale dell’arma, proseguono, dunque, e potrebbero portare a nuovi sviluppi, anche se, il silenzio degli indagati, non aiuta gli inquirenti.
Fortunatamente, nonostante le minacce subite, c’è, invece, chi ha deciso di ammettere, senza esitare, di essere stato vessato dalla mafia. E’ il caso di Vincenzo Parisi, già titolare della società Celso e oggi dipendente della Parisi Srl, amministrata dal figlio Vito di 20 anni. Parisi, come riporta oggi il Giornale di Sicilia, avrebbe dichiarato che le pressioni esercitate dal boss Mariano Saracino nei confronti di alcuni suoi clienti, stavano mettendo in ginocchio l’azienda di famiglia.
Il 20 marzo del 2014, Parisi avrebbe raccontato agli investigatori di essere stato contattato, agli inizi del 2013, da Vito Colomba, un 80enne vecchio amico del proprio padre. L’anziano doveva realizzare due capannoni in contrada Mortilli e avrebbe chiesto a Parisi di fornirgli il calcestruzzo necessario. Ma le cose andarono diversamente. Quando seppe che gli scavi erano stati ultimati, fu lo stesso Parisi a ricontattare Colomba che non si era più fatto sentire. Colomba spiegò al figlio del vecchio amico che, purtroppo, aveva ricevuto pressioni di Vito Badalucco per conto di Mariano Saracino e che quindi, per il quieto vivere, aveva deciso di rispettare la loro imposizione, rivolgendosi all’alcamese Vincenzo Artale che, si sarebbe rifornito presso la Cesat di Cinisi per erogare il cemento utile alla creazione delle fondamenta dei capannoni di Colomba.
Vincenzo Parisi, ha fatto così mettere a verbale che Artale fosse un personaggio a disposizione del duo Badalucco-Saracino. Poco dopo, invitato da un nipote di Colomba, l’imprenditore edile Giuseppe Salvo, Parisi si presentò al cantiere dei capannoni in costruzione con tre betoniere. Non appena arrivato il nipote di Colomba gli riferì che poco prima si erano presentati Badalucco e Saracino e, quest’ultimo avrebbe esordito sostenendo che chi avesse iniziato la fornitura (cioè Artale), dovesse anche completarla. Colomba a quel punto avrebbe informato i due personaggi di avere già preso impegni con Parisi e, stando al verbale sottoscritto da quest’ultimo, Saracino avrebbe risposto che a quel punto “quello che viene si prende”. Una minaccia eloquente che non fermò Parisi, il quale, continuò a fornire il calcestruzzo al vecchio amico del padre anche nei mesi a venire.