San Giuseppe Jato, la lotta tra le fazioni per conquistare il potere mafioso
La mafia cercava di riorganizzarsi ancora una volta nella parte occidentale del palermitano. E’ quanto emerge dall’inchiesta “Brasca 4.0” che è sfociata ieri in 62 arresti, tra Palermo, la Valle dello Jato e Monreale. Il tutto avveniva attraverso intimidazioni pesanti e richieste di pizzo.
Le indagini dei carabinieri non si sono fermate dopo l’operazione “Nuovo Mandamento” che nell’aprile del 2013 aveva bloccato il tentativo accorpare tutte le famiglie mafiose della zona del partinicese.
Secondo quanto emerge dall’inchiesta, stavolta era Mario Marchese il punto di riferimento per la nuova organizzazione. A lui si rivolgevano i clan della provincia per discutere anche dei nuovi assetti. Come fece Gregorio Agrigento, storico uomo d’onore e già condannato per associazione mafiosa che aveva tentato di accreditarsi da Marchese come capo del mandamento di San Giuseppe Jato, all’interno del quale era in atto una ristrutturazione, in sostituzione di Giuseppe Marfia fermato proprio nell’operazione del 2013 che aveva creato un vuoto di potere. Da quel momento iniziò una vera e propria lotta per il vertice, mediante una lunga serie di danneggiamenti ed atti intimidatori nei confronti di quei soggetti che fino a quel momento si erano dimostrati vicini al vecchio potere mafioso.
Due in particolari le fazioni contrapposte: la prima rappresentata da Gregorio Agrigento e dalle persone a lui vicine – su tutti, Ignazio Bruno, già sorvegliato speciale, e Antonino Alamia, barbiere – e l’altra fazione da Giovanni Di Lorenzo, soprannominato la morte, operaio edile, pregiudicato, il quale cercava nel marasma di gestire gli interessi dei vecchi, legati a Salvatore Mulè , vecchio capo mandamento, condannato a 19 anni di carcere e recluso al regime del 41 bis. Infatti, tra il giugno 2013 ed i primi mesi del 2014, si sono registrati otto atti intimidatori ed incendi in danno di persone che erano considerate vicine a MULE’. Di Lorenzo aveva pure iniziato a fornirsi di armi e aveva inoltre ucciso numerosi bovini all’allevatore Giovanni Longo.
La tensione tra le due fazioni si risolveva solo formalmente con due riunioni tenutesi tra febbraio e marzo del 2014, tra i due schieramenti. Nel corso degli incontri veniva stabilita una pax mafiosa nel mandamento della valle dello Jato“.Facciamo l’appaciata e poi si vede!.-disse di Lorenzo – Io non mi spavento di te, tu non ti spaventi di me!”.
Ma nonostante i chiarimenti, non si giungeva mai ad una comunione di intenti, anzi DI LORENZO, si adoperava per reperire ulteriori armi.
L’insediamento del nuovo potere mafioso è stato accompagnava da una recrudescenza di episodi delittuosi, estorsioni e danneggiamenti anche di ingente entità economica, che inducevano – affermano i carabinieri- alcuni imprenditori ad abbandonare l’atteggiamento omertoso ed a rivolgersi alle forze dell’ordine per denunciare le richieste estorsive subite, permettendo, con le loro rivelazioni, di individuare ed accertare la responsabilità penale degli indagati, grazie anche alla collaborazione di Addiopizzo.