Le indagini sul mandamento mafioso di San Giuseppe Jato (Video)
Dopo l’azzeramento del mandamento di San Giuseppe Jato, dopo l’operazione antimafia dell’aprile 2013, il nuovo schieramento avrebbe approfittato del temporaneo vuoto di potere, venutosi a creare, per imporsi come nuova forza emergente, attraverso una lunga serie di danneggiamenti ed atti intimidatori nei confronti di quei soggetti che fino a quel momento si erano dimostrati vicini al vecchio potere mafioso.
La situazione avrebbe creato una grande tensione tra le due fazioni, l’una rappresentata da Agrigento e dalle persone a lui vicine, su tutti Ignazio Bruno, già sorvegliato speciale e, Antonino Alamia, barbiere e, l’altra da Giovanni Di Lorenzo, inteso la morte, operaio edile, pregiudicato, il quale nel marasma avrebbe cercato di gestire gli interessi dei vecchi, legati a Salvatore Mulè, vecchio capo mandamento, condannato a 19 anni di carcere e recluso al regime del 41 bis.
Infatti, tra il giugno 2013 ed i primi mesi del 2014, si potevano contare otto atti intimidatori ed incendi in danno di persone che erano considerate vicine a Mule’, al fine di fronteggiare la fazione avversaria di Giovanni Di Lorenzo che, avrebbe cominciato ad approvvigionare armi, preoccupandosi non solo di tutelare la propria incolumità da atti violenti, ma anche di porre una serie di intimidazioni.
Così, ad esempio, la notte tra il 18 ed il 19 gennaio del 2014, venivano uccisi numerosi bovini a Giovanni Longo – un allevatore già tratto in arresto nell’operazione “Nuovo Mandamento”, vicino a Salvatore Mulè – in quanto accusato di avere trattenuto per sé una ingente somma di denaro destinata alla famiglia dello stesso detenuto, con la quale aveva acquistato un’autovettura, incendiata il 31 dicembre 2013, e gli stessi bovini, poi uccisi.
Il 31 gennaio successivo, a seguito di mirata perquisizione eseguita presso un’area agricola ubicata alla periferia di San Giuseppe Jato, di proprietà di Giuseppe Buscemi Tartarone, vennero rinvenute, all’interno della stalla, occultate tra le balle di fieno, due pistole calibro 7.65, un fucile a canne mozze calibro 12, numerose munizioni e due passamontagna. Le armi erano tutte perfettamente funzionanti, pronte all’uso e con il colpo in canna.
Privato dell’arsenale di cui la fazione legata a Salvatore Mulè aveva la disponibilità, Giovanni Di Lorenzo avrebbe iniziato una nuova spasmodica ricerca di armi e relative munizioni.
L’attività investigativa ha consentito, infatti, di documentare la compravendita di una pistola ad opera di Antonino Giorlando, imprenditore edile di Monreale, e la consegna di un’altra arma, calibro 32, da parte di Vincenzo Ferrara di San Cipirello a Di Lorenzo.
Nel frattempo, la tensione venutasi a creare tra le due fazioni si sarebbe risolta, solo formalmente, con due riunioni tenutesi il 23 febbraio ed il 9 marzo del 2014, tra i due schieramenti, ed in particolare tra il capo della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, Ignazio Bruno, Antonino Alamia il cassiere e, Giuseppe D’Anna il capo decina, da un lato, e Giovanni Di Lorenzo e Vincenzo Licari, imprenditore edile del luogo, dall’altro.
Nel corso degli incontri sarebbe stata stabilita una pax mafiosa nel mandamento della valle dello Jato.
Al riguardo, Di Lorenzo si esprimeva così: “Eh, io sono stato chiamato da un paio (di persone, ndt) per fare appaciare (per fare la pace, ndt)…..facciamo l’appaciata (la pace, ndt) e poi si vede!….Domenica ho avuto una riunione, gliel’ho detto, le cose quando sono rapportate, di qua che arrivano da te…omissis…gli ho detto, triplicano le cose!…omissis…Gli ho detto, e poi succedono le male lingue!……Minchia,!…. Minchia, ieri parole pesanti!….Io non mi spavento di te, tu non ti spaventi di me! Pitipum pitipam …Nca tirami (sparami, ndt), vediamo! Tirami! Se hai l’abilità mi tiri!….Ci deve essere un altro incontro per fare un’appaciata con tutti!”.
Ma le indagini dimostrarono che, nonostante i chiarimenti avvenuti in più occasioni, non si giungeva mai ad una comunione di intenti tra le due fazioni, anzi il contrasto tra le stesse si riacutizzava, tanto che lo schieramento riconducibile a Salvatore Mulè, nella persona di Giovanni Di Lorenzo, si adoperava per reperire ulteriori armi.
Il 4 novembre del 2014, lo stesso Di Lorenzo finì in manette in quanto sorpreso in possesso di una pistola replica a salve, mod. 92 Beretta, modificata e perfettamente funzionante per camerare ed esplodere cartucce calibro 7,65.
Nel corso delle indagini, venne anche identificato e tratto in arresto Raffaele Bisiccè, della zona Bonagia di Palermo, soggetto che aveva modificato e fornito l’arma a Di Lorenzo. La successiva perquisizione eseguita presso la abitazione del Bisiccè, consentì di rinvenire una pistola calibro 10,35 perfettamente funzionante, centinaia di munizioni di diverso calibro, oltre che l’attrezzatura per produrle.
L’insediamento del nuovo potere mafioso venne manifestato con estorsioni e danneggiamenti anche di ingente entità economica, che inducevano, segnando un incontrovertibile cambio di tendenza, alcuni operatori economici ad abbandonare l’atteggiamento omertoso ed a rivolgersi ai Carabinieri per denunciare le richieste estorsive subite, permettendo, con le loro rivelazioni, di individuare ed accertare la responsabilità penali degli indagati.
Più in generale, nell’azione di prevenzione e contrasto al fenomeno estorsivo, i Carabinieri si sono altresì avvalsi sul territorio del rapporto consolidato nel tempo con l’associazione antiracket Addiopizzo.
Gli investigatori hanno nel frattevo acquisito elementi di prova a carico di una serie di soggetti dediti al furto ed alla ricettazione di mezzi d’opera ed autovetture nelle province di Palermo, Agrigento e Reggio Calabria, tra cui Saverio Zinna, della zona Borgonuovo di Palermo, venditore ambulante nel settore ortofrutticolo, pregiudicato per reati contro il patrimonio e la persona, al quale, i mafiosi di San Giuseppe Jato si erano rivolti per organizzare incontri al fine di recuperare mezzi da reimpiegare nelle loro illecite attività. In tale contesto venivano rinvenuti e restituiti ai legittimi proprietari i mezzi provento di furto.
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