Montelepre, l’imputato sull’omicidio Licari nega ai giudici ogni addebito
Continua a negare tutto anche in aula, ma ritratta alcune dichiarazioni rese durante l’interrogatorio, Antonino Muratore, 79 anni, imputato davanti la Corte d’Assise di Palermo per l’omicidio del capocantoniere in pensione Baldassare Licari, di Montelepre, assassinato il 4 novembre del 2013 all’età di 64 anni.
“Era un amico, non avrei potuto fargli del male. Quel giorno sono andato a trovarlo nella sua casa di campagna, mi ha offerto il caffè che abbiamo bevuto insieme, abbiamo parlato, ci siamo salutati e baciati, poi sono andato via”.
Antonino Muratore ha raccontato questo ai giudici, ribadendo di non c’entrare nulla con il delitto del suo “amico”.
Ad incastrarlo, in realtà, era stato proprio il suo Dna che la scientifica ha rilevato sulla tazzina del caffè trovata in casa della vittima che, venne freddata con i colpi di due diverse pistole: una 357 magnum e una calibro 22.
Ma, la tesi sostenuta dai suoi difensori è proprio quella che, il fatto che l’imputato sia stato lì quel giorno, che ne siano state trovate tracce biologiche, non sarebbe comunque sufficiente a dimostrare che sia lui l’assassino.
Ad Antonino Muratore i poliziotti del commissariato di Partinico arrivarono scavando nella vita di Licari. Scoprirono che la figlia di Muratore nel 2008 aveva intentato una causa contro Licari. Questioni di vicinato per via della collocazione di un recipiente nell’abitazione in paese, a Montelepre.
E per gli investigatori potrebbe essere stato questo il movente del delitto. Una banale lite che può avere acceso la scintilla fino ad arrivare ad un regolamento di conti, così come venne definito quanto accaduto nel novembre 2013 nella campagne tra Montelepre e Partinico.
Muratore, a differenza delle dichiarazioni rese durante l’interrogatorio dopo il suo arresto, ieri in aula ha confermato di avere visto Baldassare Licari proprio il giorno del delitto ma, continua a negare ogni addebbito.
Per il sostituto procuratore Dario Scaletta, che sostiene l’accusa nel processo, oltre al Dna, a confermare la presunta colpevolezza di Muratore, vi sarebbe l’astio profondo rilevato nei confronti della vittima, finita pure in tribunale assieme alla figlia per la sistemazione del serbatoio.
Muratore sostiene che questa vicenda fosse già stata superata, e che tra lui e la figlia non ci fossero più contrasti, né denunce nel mezzo.
Ma, a sfavore dell’imputato, ci sarebbero proprio le dichiarazioni rese durante l’interrogatorio, durante il quale, Antonino Muratore, affermò di avere visto pochissime volte Licari, di non sapere neppure come arrivare sul luogo del delitto e, soprattutto, di non avere bevuto dalla tazzina da cui è stato estratto il profilo genetico; insomma negava l’evidenza.
“Non volevo avere seccature – ha dichiarato ieri in aula – per questo quel giorno ho evitato di dire come stavano effettivamente le cose. Ma poi ho chiarito tutto”.