Chiesti 20 anni di carcere per Salvatore Maniscalco. Uccise la moglie Concetta Conigliaro
Il pubblico Ministero Gianluca Di Leo ha chiesto 20 anni di carcere per il quarantenne Salvatore Maniscalco, l’uomo di San Giuseppe Jato accusato di avere ucciso volontariamente la moglie ventisettenne Concetta Conigliaro.
Di quattro anni è la richiesta di condanna inoltrata, invece, nei confronti di Vincenzo Caltagirone e di 4 anni e 4 mesi per suo figlio Vincenzo, rispettivamente zio e cugino dell’assassino reo confesso.
E’ l’esito dell’ultima udienza del processo in corso, con rito abbreviato, alla Procura di Palermo per il delitto commesso il 9 aprile dello scorso anno, con modalità e movente ancora poco chiari, dato che il cadavere di Concetta Conigliaro fu distrutto e poi bruciato e, i suoi resti, vennero ritrovati solo un paio di mesi dopo.
Fu lo stesso Salvatore Maniscalco a consentire il ritrovamento dei resti bruciati della moglie, in un fusto metallico, in contrada Giambascio, nelle campagne tra San Giuseppe Jato e San Cipirello.
L’uomo confessò, rendendo successivamente più versioni e ritrattando le precedenti. In una di queste dichiarazione, nell’ottobre dell’anno scorso, 6 mesi dopo la morte della moglie, l’imputato chiamò in causa lo zio e il cugino, già indagati a piede libero e poi finiti in manette, anche se Vincenzo Caltagirone, attualmente è agli arresti domiciliari.
La ricostruzione del Pm Gianluca De Leo, tiene in considerazione la confessione di Maniscalco, solo parzialmente; la tesi dell’omicida, infatti, è quella della lite degenerata in delitto, ragion per cui la difesa tenta di trasformare l’accusa da omicidio volontario a quello preterintenzionale; un dettaglio che farebbe scendere parecchio l’eventuale condanna da scontare.
L’accusa non crede alla tesi di Maniscalco, che, sostiene, di avere chiamato i parenti prima di soccorrere la moglie, avendo creduto di averla soltanto ferita e, soltanto dopo di essersi fatto aiutare a far sparire il suo corpo ormai privo di vita.
Per il Pubblico Ministero De Leo, invece, Maniscalco voleva evitare che venissero scoperte le modalità del delitto e le cause della morte, per poi potere sostenere l’accidentalità dell’omicidio.
La tesi della difesa, però, sarebbe parzialmente condivisa dalle parti civili che rappresentano i fratelli della donna uccisa, mentre il legale che assiste le figlie della vittima, condivide le teorie dei pm.
Durante il processo, sarebbe emerso che nella coppia ci fossero frequenti litigi che avrebbero portato la vittima dell’omicidio ad essere manesca nei confronti del marito; una tesi avvalorata dalle testimonianze rese in aula dalle figlie dei due coniugi. La più grande delle due, infatti, durante l’incidente probatorio, avrebbe detto che la madre picchiava il suo papà, perché comprava regali a lei e alla sua sorellina.