Due arresti per estorsione, chiedevano il pizzo a due imprenditori
Giuseppe La Torre e Danilo Gravagna avrebbero imposto a due imprenditori di un’azienda di trasporti del centro città il pagamento della messa a posto. Le vittime, per evitare problemi, per diversi anni, hanno corrisposto 500 euro di pizzo ad un signore che puntualmente, a Pasqua e a Natale, si presentava davanti ai loro uffici. Poi, all’improvviso, quel signore iniziò a chiedere di più: addirittura, una partecipazione negli affari, imponendo che la ditta si avvalesse, per i trasporti, dell’azienda dello stesso Gravagna. Per un po’, i due imprenditori di un’azienda di spedizioni che lavora all’interno del porto, la Sicilspeed, si sono sottomessi, poi hanno deciso di ribellarsi rivolgendosi ai carabinieri del Reparto Operativo che hanno avviato, assieme alle fiamme gialle, una indagine che ha portato alle ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei due malviventi, già in carcere per altre accuse. Gli imprenditori decisero che era meglio denunciare piuttosto che sottostare ai ricatti mafiosi. In caserma hanno riconosciuto due volti nell’album dei boss e degli esattori di Palermo. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis, Francesco Grassi e Caterina Malagoli. Gli arresti di oggi, eseguiti dai carabinieri del Nucleo investigativo e dai finanzieri del Gico della polizia tributaria, sono uno sviluppo delle indagini, ancora in corso, nate dall’operazione “New Gate” dell’ottobre 2013, quando gli investigatori scoprirono l’esistenza di una banda che grazie alle soffiate giuste riusciva a rapinare i mezzi pesanti che sbarcavano al porto di Palermo. Nel contempo è emerso che il titolare sotto estorsione fin dal 2007 era stato costretto a versare il pizzo nelle tasche dei boss del mandamento di Porta Nuova che, una volta finiti in manette, avrebbero passato il testimone a La Torre e Gravagna su cui adesso, pendono le nuove accuse rispetto a quelle già contestategli nel 2013, quando, La Torre venne considerato una delle menti di una banda dedita alla commissione di furti, rapine, ricettazione, commercio di prodotti con contrassegni falsi, sequestro di persona ed altro. Gravagna, invece, in quell’inchiesta, figura quale esecutore del lavoro sporco per conto della banda.