Chiesti tre ergastoli per boss D’Amato, Barranca e Cannella
Per la strage di Capaci, costata la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre poliziotti della scorta, la Procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna all’ergastolo dei boss Cosimo D’Amato, Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella. Dodici anni sono stati chiesti per il pentito Gaspare Spatuzza che con le sue dichiarazioni ha reso possibile la riapertura dell’inchiesta. Il processo si svolge, in abbreviato, davanti al gup Davide Salvucci. Grazie alle dichiarazioni di Spatuzza i pm di Caltanissetta hanno fatto luce sulla fase preparatoria dell’attentato. E alla luce sono venute le responsabilità di sette mafiosi della cosca di Brancaccio, quella capeggiata dal boss Giuseppe Graviano. Per 20 anni sono rimasti impuniti restando fuori dalle indagini sull’eccidio di Capaci. Oltre ai sette, che avrebbero preso parte alle operazioni di recupero in mare e alla lavorazione del tritolo usato per l’eccidio, è stato indagato, come mandante, il capomafia Salvuccio Madonia, boss di Resuttana che partecipò alle riunioni durante le quali Cosa nostra deliberò il programma stragista e l’uccisione di Falcone. I boss processati oggi hanno scelto l’abbreviato, gli altri vengono giudicati separatamente con il rito ordinario. Dalle indagini è emerso che parte del tritolo usato per fare saltare in aria l’autostrada, il 23 maggio 1992, veniva da quattro bombe ripescate nel mare di Porticello e nella zona della Cala, a Palermo. A recuperarlo dall’acqua fu il pescatore Cosimo D’Amato.
Gli uomini della cosca di Brancaccio – Giuseppe Barranca, Fifetto Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello – lo trasportarono, lo polverizzarono e lo custodirono. A Spatuzza il compito di consegnarlo a Graviano. Insieme all’esplosivo procurato dal boss Giovanni Brusca, venne infilato in un condotto dell’autostrada e impiegato per l’esplosione. Il processo è stato rinviato al 22 ottobre per le arringhe difensive.