Grande Passo. Mafia e appalti, arrestato il capo mandamento di Corleone


Un insospettabile dipendente comunale, a capo del mandamento mafioso di Corleone. Carismatico e molto deciso, fautore di una linea d’azione prudente con una vasta conoscenza delle dinamiche di “cosa nostra” e dei suoi personaggi più influenti, tra cui i Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, rispetta le regole, pretendendo che altrettanto facciano i suoi affiliati. Descrivono così gli inquirenti, Antonino Di Marco 58 anni a fine settembre, finito in manette insieme al capomafia di Palazzo Adriano Pietro Paolo Masaracchia, 64 anni, impiegato forestale, e a Nicola Parrino, 61 anni, imprenditore edile e portavoce con i mafiosi delle zone limitrofe, Franco D’Ugo, 48 anni, operaio, Pasqualino D’Ugo, 52 anni, operaio, entrambi avevano il compito di controllo del territorio e realizzazione di atti intimidatori e danneggiamenti. L’indagine che ha portato all’operazione “Grande Passo” è stata avviata nel 2012 dalla Dda di Palermo guidata da Leonardo Agueci a seguito di una denuncia di un funzionario di un ente locale vittima di un episodio estorsivo e ha fatto luce sugli assetti mafiosi attuali del mandamento di Corleone. Le intercettazioni, hanno svelato l’attività estorsiva messa a segno, a tappeto, dai clan, l’illecita gestione degli appalti, ma anche alcuni contatti tra i fermati ed esponenti politici siciliani. Il mandamento infatti avrebbe speso il suo impegno alle elezioni regionali. “Risulta dalle indagini che Cosa nostra ha indirizzato i suoi consensi verso Nino Dina dell’Udc, poi eletto all’Ars con moltissime preferenze proprio nella zona di competenza del clan”, ma “non c’è la prova che la mafia abbia ricavato dei vantaggi in cambio del certo sostegno elettorale a Dina”. Di Marco è stato pedinato mentre andava nella segreteria politica del parlamentare regionale. Dalle indagini è emerso soprattutto il dato che tra Corleone e Palazzo Adriano diversi imprenditori si sono piegati al volere di Cosa nostra, che intesacava il 3% sugli appalti e in alcuni casi, al posto della richiesta di denaro imponeva agli imprenditori assunzioni di personale e acquisto di mano d’opera nelle aziende vicine ai clan. Per convincere le vittime a cedere i boss sono ricorsi spesso a danneggiamenti e furti all’interno dei cantieri delle imprese taglieggiate. L’insospettabile Antonino Di Marco, custode del campo sportivo comunale di Corleone, da sempre vicino alla manovalanza che eseguiva piccoli ordini fiduciari avrebbe preso il bastone del comando. Suo fratello Vincenzo era stato l’autista di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. Tra gli affari di Di Marco la gestione di alcuni terreni della Curia di Monreale, in contrada Tagliavia a Corleone. Le intercettazioni dicono che era stato addirittura Salvatore Riina a concedere questo privilegio ai Di Marco, come ricompensa per i servizi resi. Parlava e predicava Antonino Di Marco nell’ufficio comunale dove lavorava, ignaro di essere ascoltato 24 ore su 24. Telecamere e microspie hanno captato le discussioni su appalti, estorsioni e campagne elettorali. Si sentiva in una botte di ferro Di Marco, pensava di poter restare nell’anonimato, è talmente illuminato di aver acconsentito che la figlia si fidanzasse con un sottoufficiale dei carabinieri. “La gente deve avere il dubbio, mai la certezza di chi comandi”- questa una delle frasi intercettate-. L’indagine coordinata dal gruppo di Monreale e dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha scattato la fotografia aggiornata della mafia in una fetta della provincia palermitana.

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