Operazione Reset. Mafia, azzerato il mandamento di Bagheria, 31 arresti

I commercianti hanno denunciato, i pentiti hanno parlato e il mandamento di Bagheria è andato in frantumi, trentuno le persone arrestate nell’operazione “Reset” dei carabinieri del comando provinciale di Palermo. Cinquecento i militari impegnati nell’esecuzione dei fermi nei confronti di capi e gregari del clan bagherese, in manette pure pericolosi “uomini d’onore” della consorteria. Gli arrestati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, sequestro di persona, estorsione, rapina, detenzione illecita di armi da fuoco e danneggiamento a seguito di incendio. Le indagini hanno scoperto che al posto della storica commissione provinciale di Cosa nostra era stato creato una sorta di “direttorio” e che a prendere le decisioni era un capo Giuseppe di Fiore, in gergo denominato “la testa dell’acqua”, al quale doveva obbedienza anche il reggente operativo del mandamento. Ne fanno parte i rappresentanti delle famiglie più autorevoli di città e provincia, che quasi sempre sono scarcerati eccellenti. Dopo un lungo stop obbligato, per gli arresti e le condanne, i boss un tempo fedelissimi di Bernardo Provenzano – da Nicolò Greco, Giuseppe Di Fiore a Carlo Guttadauro (negli anni passati addirittura assolto) erano tornati a seminare il terrore a Bagheria storica roccaforte di Cosa Nostra. Le indagini hanno accertato ben 44 estorsioni, quattro danneggiamenti, una rapina e una tentata rapina. Quattro invece i progetti di rapina sventati grazie all’intervento “preventivo” dei carabinieri. Questa volta, imprenditori e commerciati hanno dato un segnale importante: venti operatori economici non si sono piegati al ricatto dei boss e hanno denunciato. A svelare poi il nuovo sistema di potere del clan che di fatto ha mandato in pensione la commissione provinciale di Totò Riina e Bernardo Provenzano che ha imperversato fra gli anni ’80 e ’90, sono state le dichiarazioni di due nuovi pentiti, il killer Sergio Flamia e il geometra Enzo Gennato. Il primo ha rivelato i retroscena di una cinquantina di omicidi, il secondo ha parlato degli intrecci fra mafia, imprenditoria e politica. Sono stati inoltre identificati gli esecutori materiali dell’omicidio di Antonino Canu, ucciso Caccamo il 27 gennaio 2006, e del tentato omicidio di Nicasio Salerno, sempre a Caccamo il 23 agosto 2005. Il primo crime sarebbe stato commesso da MicheleModica di Casteldaccia , considerato affiliato alla mafia canadese e da Emanuele Cecala, quest’ultimo ritenuto responsabile anche del tentato omicidio. Tra i fermi dopo le indagini dei carabinieri, coordinati dal procuratore Francesco Messineo, dall’aggiunto Leonardo Agueci, e dai sostituti Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, ci sono nomi eccellenti come Carlo Guttadauro – fratello di Filippo e Giuseppe – capo decina di Aspra. E ancora Giuseppe Comparetto, uomo d’onore di Villabat. In manette anche Antonino Messicati Vitale, rientrato in Italia da pochi mesi (dopo una breve latitanza a Bali, dove era stato individuato e arrestato) e scarcerato per un cavillo. Tra gli arrestati ci sono Giuseppe Di Fiore “la testa dell’acqua”, Giovanni Pietro Flamia, Salvatore Lo Piparo e Giovanni Di Salvo.

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