Strage di Capaci. Ultimo mistero, ricompare il “furgone bianco”

A distanza di vent’anni riemerge “il furgone bianco” in una delle inchieste sulla strage di Capaci, la procura di Caltanissetta riesaminando le carte ha scovato la trascrizione di due interrogatori della stessa persona ma “contrastanti”, due versioni diverse rese a distanza di pochi giorni, proprio sulla presenza di un furgone bianco prima collocato sul luogo dell’eccidio e poi in tutt’altra zona. I misteri sulla strage di Capaci non finiscono mai –scrive oggi Repubblica.it, in un articolo a firma di Salvo Palazzolo che parla della nuova pista investigativa, dimenticata per vent’anni. Nel maggio del 1992 un agente della Polstrada D.M, avrebbe riferito, anzi giurato, di avere visto un furgone bianco sul luogo dell’attentato con alcune persone attorno e, poche ore dopo ritrattò, spostando il mezzo in una stradella più sotto che mi pare si chiami –dichiarò a verbale- via Kennedy. E quel furgone sparì dall’inchiesta per riemergere circa un mese fa quando il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e i suoi pm, rivisitando ogni pagina e documento sulle indagini e “accogliendo atti di impulso” della procura nazionale antimafia, si sono accorti delle due versioni sul furgone bianco. Hanno contattato D.M. chiedendogli spiegazioni e l’agente così ha risposto “Ho dovuto cambiare versione, qualcuno è venuto da me e mi ha detto che era meglio se quel furgone bianco usciva dalla scena del crimine”. Poi ha fatto il nome di chi l’avrebbe convinto a fare marcia indietro: “Un poliziotto molto noto, anzi un ex poliziotto: Gioacchino Genchi”, quest’ultimo l’ha subito contro-denunciato per calunnia. Genchi è stato ascoltato e non solo ha negato di aver mai “consigliato” il poliziotto della stradale a modificare la sua versione sul furgone bianco, ma ha anche dichiarato di non averlo mai conosciuto. Tra le carte della strage i procuratori di Caltanissetta hanno trovato un’altra testimonianza –scrive ancora Repubblica- rimasta finora “sepolta”. Si tratta del verbale di interrogatorio di Francesco Naselli Flores, ingegnere palermitano cognato del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, che sarebbe passato dallo svincolo di Capaci il 22 maggio del 1992, verso le 12, circa 28 ore prima dell’esplosione e che avrebbe dichiarato: “Ho visto sul luogo un furgone bianco, mi è sembrato un Maxi Ducato”. Al tempo furono ordinate indagini e si accertò che nessuno – Anas, Enel, Telecom o altre aziende – aveva mai inviato sull’autostrada propri operai o tecnici per eseguire lavori. Eppure l’ingegnere Naselli era stato molto preciso. Ricordava alcune persone “che stendevano cavi” e fornì anche una descrizione di un uomo per comporre un identikit. E sempre la Procura di Caltanissetta ha trovato –vent’anni dopo- l’impronta digitale del dito indice della mano destra di Salvatore Biondo – uno dei boss già condannati per la strage – sulla pila di una torcia elettrica recuperata sul luogo dell’attentato. Una prova decisiva per ricostruire l’esecuzione di un massacro. Altri nove sicari sono stati individuati e andranno presto a processo. Ma su esecutori e, soprattutto, su mandanti che potrebbero essere anche “concorrenti esterni” a Cosa Nostra, si cerca ancora.

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