Processo D’Alì. Pm: “minacciati i testimoni dell’accusa”

Ennesimo colpo di scena nel giorno in cui il giudice avrebbe dovuto emettere la sentenza, al processo per concorso in associazione mafiosa al senatore del Pdl Antonio D’Alì. La procura ha riferito al Gup Gianluca Francolini che due testi chiave dell’accusa, don Ninni Treppiedi e Vincenzo Basilicò, sarebbero stati avvicinati da persone vicine all’imputato e minacciate affinchè non parlassero più con i magistrati. I Pm hanno chiesto di depositare i verbali con il racconto delle minacce, fatto dai testimoni, ma la difesa del senatore si è opposta e i magistrati hanno allora chiesto al giudice l’esame di Treppiedi e Basilicò. Il Gup dovrebbe decidere a ore su quest’istanza e sulla richiesta dei legali di acquisire una serie di articoli di stampa su vicende processuali relative ad ammanchi di denaro di Fondazioni della Curia di Trapani in cui Treppiedi è coinvolto, in elenco anche un resoconto giornalistico circa un contatto tra il capomafia latitante Matteo Messina Denaro e il sacerdote, che si sarebbe reso disponibile ad aprire conto segreto a New York. Secondo i legali di D’Alì, dagli articoli di stampa emergerebbe l’inattendibilità di Treppiedi. Basilicò e Treppiedi hanno raccontato ai Pm di essere stati avvicinati e minacciati da un maresciallo dei carabinieri e da un politico locale, entrambi vicini a D’Alì, dei quali hanno fatto i nomi. Il sacerdote, sospeso a divinis dalla Curia, sarebbe stato contattato prima della sua deposizione contro D’Alì, davanti al Gup, la settimana scorsa ma avrebbe riferito il fatto ai Pm solo successivamente. La testimonianza di Treppiedi, che dalla scorsa estate collabora con i magistrati, aveva fatto slittare la sentenza in quanto i pm avevano ritenuto necessario sentirlo. Dopo la sua deposizione -nella quale ha anche raccontato di contatti di D’Alì con vertici delle istituzioni per ottenere l’allontanamento da Trapani dell’ex capo della Squadra Mobile Giuseppe Linares- oggi la Procura e le difese avrebbero voluto integrare la requisitoria e le arringhe. Per D’Alì il pm Paolo Guido aveva chiesto la condanna a 7 anni e quattro mesi di carcere.

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