La Dia sequestra beni per €13 mln ad Alcamo e nell’agrigentino

Beni per 10 milioni di euro sono stati sequestrati all’imprenditore alcamese Giuseppe Montalbano, 44 anni, indagato per associazione mafiosa. Il sequestro, disposto della Sezione misure di prevenzione del Tribunale riguarda 8 terreni, 38 fabbricati, dieci automezzi, 7 quote societarie, 10 depositi bancari e 3 polizze assicurative. Il provvedimento rientra nell’ambito di una più complessa operazione condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia nella Sicilia Occidentale con numerosi uomini impegnati nel sequestro di beni anche nella provincia di Agrigento. Giuseppe Montalbano è figlio di Pietro, anziano uomo d’onore della “famiglia” mafiosa di Alcamo, nonché nipote di Nunzio Montalbano ucciso ad Alcamo il 26 aprile del 1991. Montalbano era ritenuto fiancheggiatore, nonché prestanome di diversi latitanti alcamesi, poiché inserito nella cosca capeggiata dall’allora noto capo mafia Vincenzo Milazzo, assassinato assieme alla fidanzata, Antonella Bonomo, nel 1994. Sul finire degli anni 90’, la D.I.A., nel condurre articolate indagini sull’agguerrito sodalizio mafioso nella cittadina del trapanese, eseguì 43 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti soggetti, indagati a vario titolo per una serie di reati tra cui l’associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidi, sequestro di persona, estorsioni, riciclaggio di denaro di provenienza illecita, danneggiamenti, detenzione e porto illegale di armi. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo, oltre ad alcuni esponenti di primissimo piano della cosca c’era anche Giuseppe Montalbano, allora giovanissimo, definito soggetto di particolare valenza strategica per l’organizzazione. Cosa Nostra, infatti, gli avrebbe affidato compiti di supporto logistico per latitanti e l’esecuzione di danneggiamenti finalizzati all’attività estorsiva. Lo stesso avrebbe garantito rifugio ed assistenza agli allora latitanti Vincenzo Milazzo, Antonino Alcamo, Pietro Interdonato e Vito Di Liberto. Dato confermato grazie al rinvenimento di un telefono cellulare nel covo di Calatafimi, in cui, nel 1993, gli stessi mafiosi che si erano dati alla macchia, vennero catturati. Inoltre, lo stesso venne ritenuto responsabile, assieme ad altri, di un attentato incendiario perpetrato ai danni di un sottufficiale della Guardia di Finanza, a cui venne bruciata l’abitazione, e di aver illegalmente detenuto, e portato in luogo pubblico, tre candelotti esplosivi avvolti con nastro adesivo con innesco formato da miccia catramata, innestata all’interno di un pacco. In provincia di Agrigento, invece, beni per un valore di oltre tre milioni di euro sono stati sequestrati a Gioacchino Francesco Cottitto, 46 anni imprenditore nel settore agroalimentare, di Palma di Montechiaro. Cottitto fu arrestato nell’operazione “Apocalisse”, nel 2010, insieme a Giuseppe Falsone, 43 anni considerato il capo di “Cosa nostra” agrigentina, a Giuseppe Gambino di Ravanusa (Ag) e all’imprenditore Diego Lo Giudice. Cottitto, pur non essendo organico a “Cosa nostra” è stato accusato da collaboratori di giustizia di essere molto vicino a Falsone. Il provvedimento di sequestro comprende 28 immobili tra terreni e fabbricati; due ditte individuali, tre società e numerosi conti correnti e rapporti bancari.

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