Operazione Alexander, i boss comunicavano con vecchi e nuovi metodi
Nuove tecnologie e vecchi metodi criminali. E’ la strategia di cosa nostra emersa nell’operazione antimafia che ieri ha portato al fermo di 24 persone tra i quartieri di Brancaccio e Porta Nuova e nel trapanese. In carcere è finito il padrino emergente della Cosa nostra palermitana Alessandro D’Ambrogio . Al centro di tutto c’era lui. Nelle feste, per le sigarette di contrabbando, per i motorini rubati. Il boss rappresentava il garante, l’amico, il padrone della situazione. Nella sua agenzia di pompe funebri si assisteva ad un pellegrinaggio quotidiano, come dimostrano le video intercettazioni.
Una volta c’erano i pizzini, adesso le minacce passano sui social network. I boss usavano infatti falsi profili Facebook per scambiarsi informazioni sul narcotraffico tra Palermo e la Spagna. Parlavano con i telefonini tramite centinaia di schede “usa e getta”, facevano video chiamate con Skype, per tentare di sfuggire agli inquirenti. .
E minacciavano una vittima designata del pizzo, il titolare del pub “Mambo Beach” di Isola delle Femmine. “Noi siamo i cani, basta un mio cenno per farti attaccare. Stai attento a come ti muovi altrimenti ti butto sugli scogli a te e alla tua famiglia”. L’imprenditore ha però deciso di denunciare e ha avuto tutte le conseguenze del caso: minacce, botte, il tradimento da parte del suo socio e infine l’incendio del suo locale avvenuto nei primi giorni di giugno. Uno degli arrestati, Giacomo Pampillonia, membro di spicco della famiglia mafiosa di Palermo Centro, ha ricevuto a casa Fabrizio Miccoli. Diverse le fotografie pubblicate sul profilo facebok dell’esponente di cosa nostra in cui è raffigurato l’ex capitano del Palermo, già finito nella bufera per le frasi su Giovanni Falcone.