Cresce l’allarme per l’attentato al pm Di Matteo, contatti con Riina
Un attentato deciso “dagli amici romani di Matteo Messina Denaro” . Per eliminare il pubblico ministero Nino Di Matteo il latitante di Castelvetrano avrebbe “coinvolto altri uomini d’onore, anche detenuti”. Persino “Totò Riina, tramite il figlio è d’accordo”.
Così scriveva un anonimo in una lettera recapitata in Procura ad aprile scorso, che oggi è impossibile non accostare alle dichiarazioni del confidente che a inizio luglio ha parlato di “quindici chili di tritolo” arrivati in città per uccidere il pm della trattativa Stato-mafia. Lo scenario, già di per sé inquietante, lo diventa ancora di più quando entrano in ballo i riscontri che gli investigatori avrebbero trovato alle frasi dell’anonimo. Totò Riina e uno dei figli sarebbero entrati in contatto. Un contatto “non ufficiale”, si limitano a dire alcuni fonti investigative, forse fuori da un colloquio carcerario “non autorizzato”. Si intuisce, però, il perché le ultime notizie del confidente, un personaggio che gravita nel mondo della droga contiguo agli ambienti mafiosi, abbiano fatto scattare lo stato d’allerta e il livello massimo di protezione per il pm Di Matteo. Il confidente, infatti, non ha fatto riferimenti specifici al magistrato. Ci sono però dei particolari che rimandano a quanto descritto dall’anonimo che, invece, indicava con precisione il pm. A cominciare, dai riferimenti temporali. Entrambi parlerebbero dello stesso progetto di morte. A Di Matteo è stata rafforzata la scorta con l’aggiunta di tre carabinieri del Gis, il Gruppo intervento speciale. Le tese di cuoio vigilano ora sulla sicurezza del magistrato che, con altri tre colleghi – l’aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia – rappresenta l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia.