Mafia, chiesti 7 anni e 4 mesi per il senatore D’Alì
7 anni e 4 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa è la richiesta di condanna per il senatore trapanese Antonio D’Alì del Pdl, nel giudizio abbreviato che si celebra davanti al gup Giovanni Francolini. Nella loro requisitoria i pm Paolo Guido e Andrea Tarondo hanno ricostruito un sistema di relazioni che per oltre 25 anni il parlamentare avrebbe sviluppato con l’imprenditoria mafiosa di Trapani e con alcuni esponenti di spicco di cosa nostra tra cui il latitante Matteo Messina Denaro e il boss Vincenzo Virga, che attualmente viene tra l’altro processato come mandante dell’uccisione del giornalista Mauro Rostagno. L’accusa ritiene che D’Alì, soprattutto all’epoca in cui è stato sottosegretario all’Interno, è stato protagonista «accorto e prudente» di rapporti molto stretti con ambienti e interessi di mafia. All’esponente politico viene anche contestata un’attività di pressione per il trasferimento del prefetto Fulvio Sodano da Trapani a Agrigento per la sua attività sulla gestione e il controllo delle aziende confiscate alla mafia secondo una linea che il senatore D’Alì non avrebbe condiviso. Il processo proseguirà il 21 giugno con gli interventi delle parti civili tra cui alcune associazioni antimafia. Affermano i legali del politico Gino Bosco e Stefano Pellegrino: «Non c’è stata da parte del nostro cliente alcuna condotta concreta, effettiva e fattuale agevolatrice dell’associazione mafiosa e pertanto chiederemo la piena assoluzione perchè il fatto non sussiste».
La pena ipotizzata dai pm per il senatore D’Alì era di 11 anni ridotta a 7 anni e 4 anni per lo sconto dovuto alla scelta del rito abbreviato. La requisitoria, protrattasi per tre udienze, ha descritto un intreccio di relazioni tra il parlamentare e le cosche trapanesi sullo sfondo di un sistema affaristico inquinato. Secondo i pm, D’Alì avrebbe svolto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare agli interventi per l’Americàs cup. Il senatore si sarebbe inoltre adoperato perchè un immobile di proprietà di un imprenditore vicino a Cosa nostra fosse affittato come caserma dei carabinieri di San Vito Lo Capo. Per l’accusa il collegamento dell’esponente del Pdl con gli interessi mafiosi emerge in modo significativo dalla vicenda del prefetto Sodano che venne trasferito mentre cercava di opporsi al tentativo della mafia di riappropriarsi della «Calcestruzzi ericina», un’azienda sequestrata al boss Francesco Virga. Dei collegamenti di D’Alì hanno parlato vari pentiti tra cui Antonino Giuffrè, Antonio Sinacori, Francesco Campanella e Antonino Birrittella. I pm hanno richiamato anche il contenuto di varie intercettazioni ambientali, compresa quella di Tommaso Coppola, che in carcere parlava di D’Alì come di un politico «a disposizione» della mafia.