La Gas azienda siciliana, snodo di affari e tangenti
Nella sentenza sul tesoro di Don Vito Ciancimino, i giudici della corte di Cassazione, avevano definito la Gasdotti azienda siciliana, la cassaforte dei mafiosi. Adesso quel forziere è stato svuotato di un’altra parte di quel tesoro. ll sequestro di beni che riguarda gli eredi di Ezio Brancato: la moglie Maria D’Anna e le figlie Monia e Antonella – è il risultato di un’indagine certosina che ha portato alla luce gli illeciti del grande affare del gas cominciato nel 1981 con la costituzione della società fondata da due gruppi imprenditoriali. Uno faceva capo al tributarista Gianni Lapis. L’altro ad Ezio Brancato. Grazie all’appoggio di Cosa nostra l’azienda ottenne il via libera per realizzare la rete e la concesisone per distribuire il metano in settantaquattro comuni di Sicilia e Abruzzo. Nel 2004, prima di essere venduta per 115 milioni di euro agli spagnoli della Gas Natural, la società era diventata un colosso del settore. Lapis, di recente tornato in carcere per una presunta ma colossale storia di riciclaggio, era la mente economica di don Vito Ciancimino. L’accusa di intestazione fittizia di beni venne dichiarata prescritta nel 2011, ma la Cassazione lo condannò a due anni e otto mesi per tentata estorsione. Dalle indagini era venuto a galla il passaggio di circa 5 milioni di euro transitati dal conto di Ezio Brancato a quello della figlia di Lapis. E da qui in quello svizzero denominato “Mignon” nella disponibilità di Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. Dentro l’affare del gas vi è finito di tutto. Soldi a palate, intrecci societari, e persino pesanti accuse contro il pool di magistrati che in passato ha indagato sul tesoro di Ciancimino. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo, l’avvocato Giovanna Livreri, un tempo legale dei Brancato, e Lapis sostennero che i pm palermitani avessero pilotato le indagini per garantire l’impunità ai parenti di un magistrato. L’inchiesta a Catania fu archiviata, sgombrando il campo da ogni sospetto. Ciancimino jr in questi anni trascorsi fra processi e interrogatori ha sostenuto che parte del patrimonio della società del Gas, venduta agli spagnoli, era riconducibile a Ezio Brancato, funzionario regionale morto nel 2000. Un nome pesante, visto che si tratta del consuocero dell’attuale procuratore nazionale antimafia Giusto Sciacchitano. Ciancimino è andato oltre: alcuni magistrati palermitani, a suo dire, avrebbero sviato le indagini per favorire le eredi di Brancato, ma l’inchiesta, venne archiviata. Oggi per gli eredi Brancato è scattato il sequestro. Ezio Brancato, secondo l’accusa, era davvero in affari sporchi con don Vito Ciancmino. Gli investigatori hanno ricostruito la storia delle diverse società del gruppo in parallelo a quella della ricchezza accumulata nel tempo dalla famiglia del fondatore, subentrata nelle gestione dopo il suo decesso avvenuto nel 2000. Tra il 2003 e il 2004 l’azienda è stata ceduta a una holding spagnola, la Gas natural, per 115 milioni di euro. L’operazione sarebbe stata favorita, come ha rivelato Massimo Ciancimino subentrato al padre, dalla distribuzione di tangenti a politici siciliani. Dall’inchiesta sono affiorati i nomi degli ex ministri Saverio Romano e Carlo Vizzini e dell’ex assessore regionale Salvatore Cintola (poi morto). La Procura di Palermo ha ipotizzato il pagamento di tangenti legate alla concessione di appalti che avevano fatto crescere il valore della società Gas. Altre sarebbero state pagate come «contropartita» di un provvedimento legislativo: la legge 350 del 24 dicembre 2003 che previde per le aziende del gas un abbattimento dell’Iva e contributi per i trattamenti pensionistici. I politici chiamati in causa hanno sempre negato di avere preso soldi in cambio di «favori». E alla fine le loro posizioni sono state archiviate. È andata invece avanti l’indagine sui legami tra le società del gruppo e personaggi di mafia o comunque vicini a Cosa nostra. E da questo filone è scaturito ora il sequestro dei beni.