Imputazione coatta per l’imprenditore Giuseppe Ferdico

Dopo tre richieste di archiviazione respinte, ARRIVA l’imputazione coatta per l’imprenditore palermitano Giuseppe Ferdico, sotto inchiesta dal 2006. I pm adesso dovranno formulare entro dieci giorni la richiesta di rinvio a giudizio. Saranno loro a dovere decidere se l’accusa contestata sarà di associazione mafiosa o concorso esterno. L’ipotesi del riciclaggio è, infatti, caduta. Poi, la decisione finale spetterà ad un altro giudice, questa volta dell’udienza preliminare. L’accertata esistenza di rapporti di collusione e di complicità con soggetti inseriti o gravitanti nell’organizzazione mafiosa non appare sufficiente per ritenere provato il suo organico inserimento all’interno dell’organizzazione stessa. Ecco perché la procura di Palermo nei mesi scorsi, e per la terza volta, aveva chiesto l’archiviazione dopo avere completato gli accertamenti disposti dal Gip. Niente riscontri concreti neanche sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che misero a verbale che i fratelli Stefano e Angelo Fontana avevano utilizzato le attività di Ferdico per ripulire 400 milioni di lire. Il nome dell’imprenditore, tra l’altro, compariva pure in alcuni pizzini sequestrati a Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Si faceva riferimento ad assunzioni e pagamenti. Tutte accuse ritenute generiche e non riscontrabili. Ferdico si è sempre definito una vittima. Altro che imprenditore a disposizione dei mafiosi. Ha ammesso di avere pagato il pizzo, anche sotto forma di assunzioni, per quieto vivere. L’ultima tranche di indagini si è concentrata sui rapporti fra Ferdico e Angelo Galatolo. Nel corso di una perquisizione in casa Galatolo, nel 2010, gli investigatori trovarono una serie di documenti. Appunti in cui veniva descritto il giro d’affari di Ferdico nel 2009 e una quindicina di fatture per 200 milioni che l’imprenditore aveva pagato alla Shoppers & Paper. Si tratta della ditta di Galatolo che vendeva sacchetti di plastica e carta da imballaggio. Le scritture contabili hanno fatto emergere che Galatolo ha davvero fornito merce a Ferdico nel 2003 e 2004. Da qui le conclusioni dei pubblici ministeri Gaetano Paci e Annamaria Picozzi: “L’analisi conferma l’esistenza degli intensi rapporti d’affari, ma non consente di pervenire ad un accertamento inequivoco anche sull’esistenza di un rapporto di cointeressenza di fatto fra i due. Altro particolare su cui gli investigatori si sono concentrati sono stati i lavori per la ristrutturazione del capannone di Carini, dove Ferdico ha realizzato un centro commerciale. Anche questo, come tutti gli altri punti vendita è finito sotto sequestro nel luglio scorso. Perché se le accuse non sono servite per mandare Ferdico sotto processo, sono state sufficienti per fare scattare il sequestro del suo patrimonio. I suoi punti vendita oggi sono in amministrazione giudiziaria. I finanzieri hanno scoperto che tra le ditte incaricate dei lavori c’era pure quella di Antonino Pipitone, boss di Carini. Il suocero di quest’ultimo, Antonino Maiorana, era stato assunto come guardiano. Contemporaneamente, però, è saltato fuori che Maiorana è stato licenziato dopo l’arresto del genero; mentre i lavori della ditta Pipitone – 77 mila euro – sono stati regolarmente contabilizzati. Sul punto i pm conclusero che in mancanza di altri elementi non si può dubitare, allo stato, della veridicità del dato. Il capitolo più spinoso dell’inchiesta riguardava le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia., ma anche la vistosa inattendibilità dei conti”dell’impresa di Ferdico. L’intero impianto contabile dal 2000 al 2010 “è apparso fortemente viziato da irregolarità, anomalie, falsità che fanno molto ragionevolmente credere nell’esistenza di una contabilità parallela. L’inattendibilità riconduce inequivocabilmente alle tipiche tecniche di riciclaggio. Non ha convinto per nulla l’aumento di capitale che, all’inizio dell’ascesa commerciale di Ferdico, schizzò da sei a quattrocento milioni di lire. Nonostante i tanti dubbi i pubblici ministeri avevano chiesto per la terza volta l’archiviazione perché le prove raccolte non sono bastate, per chiedere un processo, ma sufficienti, invece, per chiedere e ottenere un sequestro di prevenzione. I punti vendita della Ferdico Giuseppe & C snc sono in amministrazione giudiziaria. Una dozzina di market, a Palermo e provincia, intestati all’imprenditore, alla moglie e ai loro tre figli. Il valore complessivo dei beni supera i 450 milioni di euro. I legali di Ferdico, gli avvocati Roberto Tricoli e Luigi Miceli, hanno sempre sostenuto che “l’imprenditore ha subito un danno imprenditoriale e personale, ma oggi è arrivata l’imputazione coatta.

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