Operazione antimafia, 28 arresti
I nuovi capi dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova e Bagheria sono stati individuati a Palermo dai carabinieri che hanno scoperto anche un investigatore infedele, informatore dei mafiosi. Ventotto persone sono state arrestate nella notte dai militari del Comando provinciale di Palermo, che nell’operazione “Pedro” hanno eseguito provvedimenti restrittivi emessi dalla Dda. In particolare, si tratta di fermi a carico di 22 indagati accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata alle estorsioni, al traffico di stupefacenti ed alle rapine, e di una richiesta di ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 6 soggetti, già detenuti per altri fatti e accusati di associazione mafiosa. Le misure sono state emesse in via d’urgenza per la necessità di interrompere le estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori e di prevenire attentati incendiari o ritorsioni fisiche alle vittime. L’indagine ha ricostruito l’attuale organigramma del mandamento di Porta Nuova e sue relazioni con tutti gli altri mandamenti palermitani e in particolare quelli di Pagliarelli, Santa Maria di Gesù, Brancaccio, Noce, Boccadifalco, Tommaso Natale, Misilmeri e Bagheria. Su quest’ultimo clan si è poi focalizzata l’attenzione investigativa, e ne sono stati così individuati i vertici che gestivano una diffusa attività estorsiva sul territorio di competenza. Calogero Lo Presti detto “Pietro”, 59 anni, e Tommaso Di Giovanni, 45 anni, erano secondo l’accusa i capi di Porta Nuova, mentre Antonino Zarcone, 40 anni, era il boss di Bagheria. Fermata anche la “talpa” che passava notizie riservate ai capimafia. Le indagini, durate 15 mesi e condotte anche con intercettazioni video e audio, sono state riscontrate anche dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Oltre a una capillare imposizione del “pizzo”, è emersa l’ingerenza di Cosa nostra nelle attività imprenditoriali ed in particolare quelle legate alla “messa a posto” dei principali lavori sul territorio. I gudagni illeciti venivano reinvestiti nel narcotraffico di cocaina, acquisendo all’ingrosso ingenti quantitativi di droga da immettere poi sul mercato siciliano attraverso una rete di spacciatori controllata dai capimafia. Gli investigatori sottolineano che “si evidenziano, rispetto al passato, concreti segnali di apertura alla collaborazione da parte di commercianti e imprenditori” vittime del racket. Persino la produzione della fiction non sfuggiva alla regola del racket. Sul set di Squadra Antimafia Palermo Oggi si aggiravano i mafiosi veri. Quelli che dettano legge con la violenza. La cosca di Porta nuova controllava il servizio di trasporti e ristorazione per le troupe e gli attori della fortunata serie tv, campione di ascolti sull’ammiraglia delle reti Mediaset. Il nome in codice, Pedro, richiama quello di Calogero Lo Presti. Per tutti era la zio Pietro, capo del clan. Il suo è il primo di una lista di 28 personaggi finiti in manette. E non si tratta dell’unico capo. In cella è finito pure Tommaso Di Giovanni che da Lo Presti aveva ricevuto lo scettro dopo che quest’ultimo aveva scoperto di essere intercettato. Di Giovanni, macellaio della Zisa, tra i più citati delle recenti cronache giudiziarie, gestiva la cassa e pagava gli stipendi. Ottocento euro al mese per i picciotti, fra cui Monica Vitale, di recente diventata collaboratrice di giustizia. Quattrocento euro per le donne dei detenuti. Miglior sorte toccava ai familiari di un altro Lo Presti, Tommaso, già da tempo in cella. Duemila euro al mese e non bastavano neppure. Ad aiutare Di Giovanni a gestire con rigore ma in maniera efficiente la cassa c’era Nicola Milano. Un altro cognome che conta a Porta Nuova. In suo soccorso era arrivato Antonino Zarcone, numero uno della mafia di Bagheria. Attorno a loro ruotavano una serie di insospettabili incensurati. Dal parrucchiere di corso Calatafimi, Vincenzo Coniglio, al venditore di polli di via Palmerino, Giuseppe Di Marco. Pizzo, droga e usura. Nonostante la crisi, a Porta Nuova riuscivano a fare quadrare i conti. Base operativa del clan era una stalla nella zona di via Colonna Rotta. Dove si svolgevano anche le affiliazioni con tanto di santini che brucia. Il clan avrebbe goduto dei favori di un ex poliziotto in pensione, Matteo Rovetto, che passava a Calogero Lo Presti la notizia di imminenti blitz. Lo Presti che teneva ogni cosa sotto controllo. Compresi i movimenti delle troupe televisive che giravano la fiction antimafia. Era il nipote Tanino Lo Presti la sua longa manus nella produzione dove lavorava un picciotto vicino al clan. Un clan che pensava in grande. L’obiettivo era creare un unico grande mandamento nella zona centrale della città capace di dialogare con i mandamenti di Pagliarelli, Santa Maria del Gesù, Brancaccio, Noce, Boccadifalco, Tommaso Natale, Misilmeri e Bagheria. Gli uomini del comando provinciale, guidato dal generale Teo Luzi, sono già al lavoro. Ecco l’elenco completo degli arrestati: Calogero Lo Presti, Tommaso Di Giovanni, Antonino Zarcone, Nicolò Milano, Vincenzo Coniglio, Giuseppe Di Marco, Antonino Lo Iacono, Gabriele Buccheri, Maurizio Pecoraro, Daniele Lauria, Agostino Catalano, Rodolfo Allicate, Francesco Paolo Putano, Giuseppe Auteri, Giovanni Giammona, Gaspare Parisi, Ivano Parrino, Francesco Chiarello, Nunzio La Torre, Giovanni Lo Giudice, Domenico Marino, Christian Mancino, Matteo Rovetto, Salvatore Sampino, Giovanni Mannino, Giustino Giuseppe Rizzo, Fabrizio e Giovanni Toscano.