ADDIO PIZZO 5. LA MAFIA SI FA IMPRESA

(fonti: Giornale di Sicilia – La Repubblica) Per il movimento terra c’erano i Di Maggio di Carini, per gli impianti elettrici Pietro Cinà di San Lorenzo, per gli infissi bisognava rivolgersi all’azienda di Alberto Evola, fabbro di Cinisi. La mafia che si fa impresa. Alla faccia del libero mercato e della concorrenza. Il vecchio sogno di Bernardo Provenzano era stato realizzato dal clan Lo Piccolo. Una rete di aziende a disposizione di Cosa Nostra, inserite con la forza nell’organizzazione degli appalti. L’obiettivo, non era solo quello di chiedere il pizzo, ma creare una vera e propria economia mafiosa. L’esempio più eclatante, emerso dall’operazione Addiopizzo 5, riguarda la realizzazione di una scuola materna a Cinisi ed i pesanti taglieggiamenti subiti dall’imprenditore Luigi Spallina. I boss secondo la ricostruzione della procura, gli imposero una tangente di 20,000 euro ma sopratutto, fu obbligato a rivolgersi alle aziende vicine alla mafia. Nelle dichiarazioni del costruttore compare il boss di Cinisi Gaspare di Maggio: “si presentò a chiedere l’assunzione di qualche operaio e di fare lavorare qualche artigiano di sua conoscenza” afferma l’imprenditore. “così mi consigliò di rivolgermi al fabbro di Cinisi, Alberto Evola. La mafia aveva monopolizzato il mercato. Per gli impianti elettrici bisognava andare da Pietro Cinà, per gli scavi invece c’erano Francesco Puglisi e Lorenzo Di Maggio.

Per convincere l’imprenditore a collaborare, un giorno gli bloccarono l’entrata del cantiere con dei camion. Spallina fu così costretto a mandare a casa i dipendenti di una ditta, che non era sponsorizzata da cosa nostra.

Le indagini che hanno portato all’arresto di 63 persone, partono dai circa 800 documenti sequestrati a Giardinello, il 5 novembre del 2007, quando furono catturati i Lo Piccolo. Nel covo infatti, fu trovata una lettera di dodici pagine scritta a mano, un lungo elenco di lavori, le lamentele di un paio di soci. A scriverla erano stati Mario e Antonio Lucia. Volevano che i destinatari sapessero tutto di tutto. E così sono venuti fuori i lavori al centro commerciale Ferdico di Tommaso Natale e la costruzione di circa 40 appartamenti a Carini.

Sono nove in tutto, i lavori avviati dall’impresa di cui facevano parte anche Filippo Zito e Giuseppe Lo Cascio, pure loro arrestati lunedì scorso. Almeno fino al 5 giugno 2006, quando Mario Lucia decide di prendere carta e penna e scrivere a Sandro Lo Piccolo. Dalla lettere si apprende che i Lucia si sentivano raggirati da Zito e Lo Cascio e volevano che i boss catturati poi a Giardinello, sapessero la storia. “C’è chi lavora e chi fa bella vita”. Nella missiva si leggono una serie di lavori realizzati per conto di cosa nostra. Fra questi, interventi a 6 appartamenti a Isola delle Femmine, 40 a Carini insieme a tanti altri appalti a Palermo. In pratica i Lucia, erano in società con Zito e Lo Cascio ma lamentavano l’incoerenza dei due nel dividere i profitti. I cantieri più grossi li avevano tra Carini e Tommaso Natale. Il primo riguardava la realizzazione di due palazzine, una quarantina di alloggi sociali in tutto, in via Sturzo. L’altro invece riguardava un intervento di ristrutturazione da due miliardi di lire al centro commerciale Ferdico di Tommaso Natale.

Dall’inchiesta non emergono soltanto vicende di estorsioni e appalti gestiti dalla mafia, ma si riapre anche il caso di un duplice delitto avvenuto a Carini

Quello di Salvatore Cataldo, 61 anni, carinese, sembrava un nome tra i tanti ma invece porta con se, un curriculum di tutto rispetto. Da sempre vicino ad Enzo Pipitone, reggente della locale famiglia mafiosa, porta con se una sfilza di precedenti e un verbale chilometrico redatto da Gaspare Pulizzi, pentito di Carini, che gli attribuisce addirittura quattro delitti: oltre alla lupara bianca di Bonanno, quella di Lino Spatola nel 2006 e il duplice omicidio di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto nel 1999. Pulizzi spiega che aveva occultato il cadavere di Giovanni Bonanno, proprio nel terreno di Salvatore Cataldo. Sul posto era stata preparata una grossa buca, il cadavere era stato avvolto in sacco nero e poi bruciato da Pino Pecoraro. Cataldo, secondo le dichiarazioni di Gaspare Pulizzi, ha ospitato a casa sua l’eliminazione dei Failla e Mazzamuto. A loro si addebitava la scomparsa di Luigi Mannino di Torretta, parente dei Lo Piccolo e per questo dovevano essere uccisi. Il delitto, secondo la ricostruzione del collaboratore, fu commesso proprio a casa di Cataldo, in via dei Limoni. Ma Gaspare Pulizzi è l’unico a parlare e per gli investigatori trovare i riscontri necessari diventa sempre più difficile.

L’operazione Addiopizzo 5, che ha smantellato la rete del racket, a Palermo e in provincia, nei comuni di Carini, Capaci, Isola delle Femmine, Terrasini, Cinisi e Montelepre, segna una svolta. Così dice il questore di Palermo Nicola Zito. “Sicuramente inizia una svolta culturale in provincia. Quella di lunedì è stata un’operazione di sistema: c’era la magistratura, le forze dell’ordine, le associazioni. Questo ha creato un clima di sicurezza e collaborazione. Sconfiggere la mafia ora è possibile, ma per giungere alla svolta completa – dice Zito – bisogna che tutti i cittadini, nel loro piccolo, incomincino a rispettare le regole credendo in uno scatto d’orgoglio”.

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