CASO LOMBARDO. MAFIA: IL PRESIDENTE DELLA REGIONE HA RESO DICHIARAZIONI SPONTANEE
Il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha reso spontanee dichiarazioni alla Procura della Repubblica di Catania nell’ambito dell’inchiesta su presunti rapporti tra mafia e appalti avviata sulle indagini di carabinieri del Ros. Il governatore è indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa, assieme al fratello Angelo, che è parlamentare nazionale del Movimento per le autonomie. Nell’inchiesta sono coinvolti anche due deputati dell’Assemblea regionale siciliana: Fausto Fagone, dell’Udc, e Giovanni Cristaudo, del Pdl-Sicilia. Secondo quanto appreso, Lombardo è stato sentito per poco meno di due ore al Palazzo di giustizia di Catania dal procuratore Vincenzo D’Agata e dai quattro sostituti titolari dell’inchiesta: Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito, Antonino Fanara e Iole Boscarino. Lombardo si è sempre proclamato estraneo alle ipotesi di reato che gli sarebbero contestate e ha definito “spazzatura politica” le accuse che gli muoverebbero due collaboratori di giustizia. Le indagini dei carabinieri del Ros di Catania, che poi si sono intrecciate con dichiarazioni su politici e amministratori, avevano al centro della loro attività il boss Vincenzo Aiello della cosca Santapaola. E’ lui ad essere ‘intercettato’ e militari dell’Arma ascoltanò frasi che ritengono lo possano collegare pesantemente con la politica. Il boss non gradisce ad esempio la nomina nella giunta regionale di due magistrati, Massimo Russo e Caterina Chinnici, bollando la scelta di Lombardo come “una minchiata”. Nell’inchiesta si innestano anche le dichiarazioni di almeno due pentiti: Eugenio Sturiale e Maurizio Avola. Il primo è un ‘colletto bianco’ del clan Ercolano da tempo passato, dopo essere transitato alla cosca Laudani, al gruppo storicamente rivale dei Cappello legati ai Cursoti. Le sue dichiarazioni sono state utilizzate per la prima volta nel processo al re dei supermercati in Sicilia, Sebastiano Scuto. E’ stato arrestato nel 2009 nell’ambito dell’operazione Revenge collegata a una faida tra clan rivali a Catania. L’altro pentito, Maurizio Avola, alla fine degli anni Ottanta era un giovane sicario del rione Picanello della ‘famiglia’ Santapaola, che si è auto accusato di oltre 50 omicidi, compreso quello del giornalista Giuseppe Fava. Avola è detenuto dal 1997 perché, dopo essere tornato libero con l’ammissione al sistema di protezione, l’anno prima, assieme a altri tre pentiti, rapinò due banche a Roma, per un bottino complessivo di 140 milioni di lire. Il procuratore capo, Vincenzo D’Agata, confermando che “l’incontro é durato meno di due ore” e che si è ‘svolto nel Palazzo di giustizia”, ha rivelato che il presidente della Regione Siciliana “ha ribadito la sua assoluta estraenità a qualsiasi contaminazione riconducibile a rapporti con esponenti mafiosi”. “Ha illustrato in particolare – ha concluso il procuratore D’Agata – le scelte e le iniziative antimafia che con rigore sono state assunte dal governo regionale fin dall’insediamento del governatore Lombardo”.