MAFIA. SI STRINGE IL CERCHIO ATTORNO AL BOSS MATTEO MESSINA DENARO. 19 LE PERSONE FERMATE
Si stringe il cerchio attorno al boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa nostra.Una vasta operazione antimafia condotta dagli uomini dalla Squadra mobile di Trapani e dallo Sco di Roma hanno eseguito 19 provvedimenti di fermo di indiziati di delitto firmati dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Le indagini della polizia sono state coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Messineo, dall’aggiunto Teresa Principato e dai Pm Marzia Sabella e Paolo Guido. Secondo gli investigatori è stata smantellata una parte della rete di protezione del boss Messina Denaro latitante dal 1993. I fermati, ritenuti tra i principali favoreggiatori, sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di società e valori, estorsione, danneggiamento e favoreggiamento personale, aggravati dalle finalità mafiose. L’operazione è stata denominata ‘Golem 2’, in quanto seguito dell’inchiesta che la scorsa estate portò a tredici arresti per gli stessi reati. Eseguite all’alba anche oltre 40 perquisizioni nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta, Torino, Como, Milano, Imperia, Lucca e Siena, nei confronti di persone ritenute vicine all’ambito mafioso che fa riferimento a Matteo Messina Denaro. Più di duecento i poliziotti impegnati nell’operazione. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi figurano alcuni fedelissimi del padrino trapanese che avrebbero svolto il ruolo di “postini” per recapitare la corrispondenza del boss contenente ordini e disposizioni. Gli investigatori sono riusciti a “intercettare” alcuni pizzini attribuiti a Messina Denaro, che in passato aveva avuto un fitto scambio epistolare con Bernardo Provenzano e i boss Lo Piccolo. In cella sono finiti anche alcuni elementi di spicco di Cosa Nostra trapanese, tra cui i reggenti delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Partanna e Marsala che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra Messina Denaro e i suoi affiliati nonchè con i vertici delle cosche palermitane. Tra i fermati c’è anche il fratello del boss, Salvatore Messina Denaro, accusato tra l’altro di avere imposto un’estorsione a un’impresa edile (in particolare avrebbe chiesto il 3% dell’appalto su un lavoro eseguito a Castelvetrano), e due cugini. In cella sono finiti inoltre, tra gli altri, Maurizio Arimondi, Calogero Cangemi, Fortunato e Lorenzo Catalanotto, Tonino Catania, Andrea Craparotta, Giovanni Filardo, Leonardo Ippolito, Antonino Marotta, Marco Manzo, Nicolò Nicolosi, Vincenzo Panicola, Giovanni Perrone, Carlo Piazza, Giovanni Risalvato, Paolo Salvo, Salvatore Sciacca e Vincenzo Scirè. Alcuni sono legati al latitante da vincoli di parentela. C’è anche un componente della banda di Salvatore Giuliano tra i 19 presunti fiancheggiatori del boss Matteo Messina Denaro. Si tratta di Antonino Marotta, 83 anni, definito dagli investigatori come il “decano” della mafia trapanese. L’indagine ha evidenziato, inoltre, come Cosa nostra continua a utilizzare uomini d’onore storici che, scontata la pena e usciti dal carcere, tornano a dare il loro contributo all’organizzazione. E’ il caso di Filippo Sammartano, Antonino Bonafede e Piero Centonze. Marotta, che in passato è stato arrestato più volte e coinvolto in inchieste di mafia, in alcune foto è ritratto insieme al bandito di Montelepre che fu protagonista nel dopoguerra di alcune stragi come quella di Portella della Ginestra. In considerazione della sua età per l’anziano boss, sono stati chiesti gli arresti domiciliari. Il bandito Salvatore Giuliano morì il 5 luglio 1950 proprio a Castelvetrano, il paese di Messina Denaro, ufficialmente in un conflitto a fuoco con i carabinieri. In realtà sarebbe stato ucciso a tradimento e consegnato allo Stato proprio dalla mafia. Dalla latitanza dorata, Matteo Messina Denaro riesce a continuare la sua azione criminale portando avanti affari milionari grazie ad “appoggi e contatti” di numerose persone. Nell’ambito dell’operazione Golem 2, è stato chiesto all’autorità il sequestro di alcune aziende che operano nel settore della ristorazione e della distribuzione alimentare, risultate fittiziamente intestate a prestanome di parenti di Matteo Messina Denaro e di affiliati al mandamento mafioso di Castelvetrano. L’obiettivo era quello di sottrarre il patrimonio accumulato illecitamente ai provvedimenti di confisca e sequestro. Gli investigatori hanno accertato infine numerose estorsioni nei confronti di imprese impegnate in appalti nel comune di Castelvetrano come quello per la costruzione di serbatoi e condotte dell’acquedotto Bresciana o le opere di completamento del Polo tecnologico integrato in contrada Airone. Ad aiutare gli investigatori sono state alcune intercettazioni. “Da alcuni passaggi delle intercettazioni – dicono gli inquirenti – si desume il penetrante controllo del territorio da parte del gruppo criminale capeggiato dal superlatitante; il ricorso sistematico alla violenza per la realizzazione degli obiettivi; il programma di gestione di alcune risorse economiche della zona; l’assoggettamento delle imprese, in molti casi titolari di importanti appalti pubblici, al sistema delle estorsioni e il sistema di riscossione delle relative tangenti; le attività di sostegno alle famiglie dei detenuti con il pagamento delle spese legali e di quelle personali attraverso i proventi delle estorsioni; la ricerca di consenso, di “disponibilità” e mutua assistenza tra i membri dell’organizzazione e verso il capomafia latitante”. Seguite dagli investigatori ‘in diretta’ le modalità di pianificazione e di attuazione di diversi attentati incendiari da parte di quei personaggi risultati coinvolti nel nuovo livello di supporto al latitante, “con azioni che inconfutabilmente – dicono i magistrati – hanno avuto quale comune matrice il mantenimento della vitalità di Cosa nostra nei territori di influenza del mandamento di Castelvetrano”. Gli investigatori spiegano che le indagini hanno trovato pieno riscontro nei ‘pizzini’ attribuiti al boss ” sequestrati negli ultimi anni ”che hanno consentito di ricostruire lo scambio di messaggi ed il costante collegamento del latitante con gli altri elementi di vertice di Cosa nostra, tra cui Bernardo Provenzano e i Lo Piccolo”. Soddisfatto il dirigente della Squadra mobile di Trapani, Giuseppe Linares che ha condotto l’operazione insieme con lo Sco di Roma: “E’ stata un grave colpo per il capomafia”, ha commentato. “Si tratta del miglior approfondimento investigativo sulla rete di protezione del boss Messina Denaro – ha spiegato – che può ancora disporre di numerosi contatti e appoggi”. I PARTICOLARI, LE IMMAGINI E LE INTERVISTE NEL TG