MAFIA. CONCLUSO IL PROCESSO PERSEO, 12 CONDANNE E 4 ASSOLUZIONI
Si è concluso con 12 condanne, complessivamente a circa 80 anni di carcere, e 4 assoluzioni, il processo a 16 presunti boss e uomini d’onore palermitani coinvolti nel blitz dei carabinieri, denominato Perseo, che ricostruì gli organigrammi delle “famiglie” del capoluogo e della provincia, e scoprì il progetto di ricostituire la “commissione provinciale” sostenuto da una parte dell’organizzazione. Col rito abbreviato sono stati ritenuti colpevoli, quindi appartenenti o molto vicini all’organizzazione mafiosa, dodici uomini del mandamento di San Giuseppe Jato, che vivono tra i paesi di Monreale, San Cipirello e Altofonte,
Il processo si è svolto davanti al gup Sergio Ziino.
L’accusa era sostenuta dai pm Roberta Buzzolani, Francesco Del Bene e Marzia Sabella. A tutti gli imputati era contestata l’associazione mafiosa. La pena più alta è stata inflitta ad Antonino Badagliacca, reggente della famiglia di Monreale (8 anni e 6 mesi). A 6 anni e 6 mesi sono stati condannati Paolo Bellino e Francesco Sorrentino. A 6 anni e 4 mesi Giuseppe Caiola, Domenico Caruso, Salvatore e Girolamo Catania, Castrenze Nicolosi, Giuseppe Russo, Sergio Damiani e Giuseppe D’Anna. Sei anni e due mesi la pena stabilita per Daniele Buffa. Assolti Gregorio Agrigento, boss di San Cipirello, Antonio Alamia, Gaspare Di Maggio di Cinisi e Salvatore Mulé. A loro carico una serie di intercettazioni ambientali dichiarate inutilizzabili per difetti di forma: da qui l’assoluzione. Ieri il giudice Ziino, per la posizione di Agrigento, ha optato invece per la formula che un tempo era quella dell’insufficienza di prove: ha ritenuto cioè inutilizzabile la registrazione e ha però operato una valutazione tecnico-giuridica sul fatto che in quel summit di mafia si parlasse genericamente di “Agrigento”, senza specificare il nome di battesimo; e gli Agrigento mafiosi, a San Cipirello, sono più di uno. La procura aveva indicato altri elementi da cui si sarebbe potuto desumere che il riferimento era a Gregorio e non al fratello Giuseppe. Ma il gup non si è convinto. Alamia invece era stato accusato di aver fatto parte della famiglia mafiosa di San Cipirello. Gli indizi contro di lui erano rappresentati da intercettazioni ambientali, effettuate nella Punto di un coindagato, Giuseppe D’Anna. Per eseguire gli ascolti la procura, aveva delegato i carabinieri di Monreale, con l’impiego di apparecchiature delle ditte Rcs e Gese Italia. Le operazioni si svolsero nella sala ascolto dell’ufficio inquirente, ma non venne spiegato perchè gli impianti di proprietà pubblica non fossero idonei. Di fronte a questa nullità l’intercettazione è caduta del tutto e anche gli elementi a carico degli indagati.
L’inchiesta, che portò a cento arresti, è sfociata in tre processi in abbreviato – dei quali uno si è concluso oggi – e tre in ordinario, tutti ancora in corso.