L’ESCALATION DI DOMENICO RACCUGLIA
Da spietato sicario (ha partecipato all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo) a manager, Domenico “Mimmo” Raccuglia era anche chiamato “u dutturi”, o il “veterinario”, si dice per la sua capacità di spremere gli imprenditori paragonata al mungere le mucche. Imprendibile. Perché riusciva a passare le vacanze estive con la moglie, tranne quest’anno. Un indizio che il latitante si sentiva già braccato. Al principio di questa estate, infatti, un blitz dei carabinieri in un monastero l’avrebbe mancato per poco. Vestito da monaco sarebbe sfuggito lungo dei cunicoli sotterranei. Quarantacinque anni, Raccuglia era un ex delfino del boss di San Giuseppe Jato, oggi pentito, Giovanni Brusca ed è stato già condannato a tre ergastoli (uno per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo), a 20 anni di reclusione per tentato di omicidio ed altre pene per associazione mafiosa. Raccuglia è stato l’esecutore delle eliminazioni ordinate dalla famiglia Brusca : Girolamo Palazzolo (San Giuseppe Jato, ottobre 1994), Francesco Reda (San Giuseppe Jato, 13 agosto 1994), Antonino Cangelosi (Borgetto, 8 aprile 1994), Domenico D’Anna (San Giuseppe Jato, 16 ottobre 1993), Giuseppe Ilardi (Camporeale, 24 gennaio 1991), Vincenzo Miceli (Monreale, 23 gennaio 1990) e Fabio Mazzola (San Cipirello, 5 aprile 1994). Ha partecipato al sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ha ucciso Giovanni La Barbera, il padre del pentito Gioacchino che parlava della strage di Capaci. Ha conservato l’esplosivo per le stragi in “continente” del 1993. Aveva un rapporto preferenziale con Bernardo Provenzano e dopo la cattura del padrino è stato indicato nella triade dei boss in grado di coglierne l’eredità con Salvatore Lo Piccolo e Matteo Messina Denaro. Ma è uscito salvo dall’ultima grande retata antimafia, l’operazione Perseo del dicembre dell’anno scorso. Per questo, agli occhi degli inquirenti, sembrava irraggiungibile. Durante la sua latitanza, nonostante i servizi di osservazione disposti nei confronti della moglie, Raccuglia è riuscito a diventare padre per la seconda volta. Il boss era considerato uno degli aspiranti al vertice della mafia palermitana essendo il capo incontrastato delle cosche a Partinico. L’arresto di Domenico Raccuglia a Calatafimi, territorio del latitante numero uno di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, darà certamente il via a nuove ipotesi investigative sulle spartizioni territoriali della mafia. Ricercatissimo da polizia e carabinieri che seguivano anche i suoi familiari (un fratello, Salvatore, è stato condannato per mafia) Raccuglia è riuscito a sfuggire alla cattura nonostante, ad esempio, i magistrati sapessero che da oltre dieci anni, agli inizi di giugno, in genere tre giorni dopo la chiusura delle scuole, la moglie partisse da Altofonte per andare a trascorrere le vacanze estive col marito latitante. Nonostante i servizi di osservazione potenziati la donna è riuscita sempre a sfuggire agli investigatori: tornava nel suo paese a settembre, poco prima che i figli, una ragazza e un bambino, tornassero a scuola. Poco più di un mese fa il pm della Dda Francesco Del Bene ha emesso l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di Raccuglia che sarebbe, secondo gli inquirenti, il mandante dell’uccisione del mafioso di Altofonte Pietro Romeo, eliminato col metodo della lupara bianca il 13 marzo ‘97. Le accuse e i processi per il mafioso arrestato ieri pomeriggio non sono quindi terminati.