IL COVO DI RACCUGLIA. IL “LIBRO MASTRO”, IL VANGELO, IL TAPIS ROULANT, LA WEB CAM
Prima notte in cella, al carcere Pagliarelli di Palermo, per il boss mafioso Domenico Raccuglia, 45 anni, arrestato domenica sera in un appartamento di Calatafimi Segesta, nel Trapanese, dopo 13 anni di latitanza. Gli investigatori stanno già setacciano le decine di ‘pizzini’, cioe’ i biglietti ritrovati nel covo di Calatafimi e che Raccuglia, al momento del blitz, ha tentato di gettare dal terrazzo. Ci sono nomi, cifre che adesso sono al vaglio dei magistrati che si occupano dell’indagine. Sembra che siano gia’ stati decrittati i primi nomi, ma al momento sono top secret. Una trentina di “pizzini” scritti a mano. Alcuni con nomi e, accanto, cifre: certamente una sorta di contabilità del pizzo. Un block notes con la copertina rossa fitto di annotazioni. Il nuovo libro mastro del ricatto mafioso sulla provincia di Palermo. Le somme “pretese” dai commercianti “che volevano mettersi a posto” varierebbero dai 3 mila ai 15 mila euro. Segnati un in un foglietto, poi, Raccuglia teneva i giorni delle vacanze scolastiche per le festività natalizie: date, secondo gli inquirenti, dei prossimi incontri con la moglie e i due figli.
Documenti e appunti personali che il veterinario, boss di Altofonte finito in carcere, dopo 13 anni di latitanza, custodiva gelosamente. E che ora vengono spulciati dagli agenti della polizia Scientifica che li stanno repertando. Il materiale, definito “molto interessante” dagli investigatori era conservato in uno zaino che il capomafia ha cercato di “salvare”.
Nella brevissima fuga accennata, ha lanciato la borsa dalla finestra. Un tentativo vano visto che il “patrimonio” del boss è finito tra i piedi degli agenti che circondavano la casa di via Cabasino al civico 80, a Calatafimi, ultimo covo del numero due di Cosa nostra. E proprio seguendo i “pizzini” gli agenti della Catturandi e del Servizio centrale operativo sarebbero arrivati al “veterinario”. Tenendo sott’occhio otto “postini”, che si muovevano tra Camporeale e Altofonte, incaricati di portare la corrispondenza diretta e inviata dal boss, la polizia ha individuato il covo di Calatafimi.
Un modesto appartamento – unico “lusso un tapis roulant e un attrezzo per il potenziamento degli addominali – al quarto piano di una palazzina disabitata nella cintura del paese. Nella sua stanza, accanto al letto, sul comodino teneva il Vangelo e il codice civile. Sul suo letto invece era poggiato un libro di avventure dello scrittore Wilbur Smith, “Gli Eredi dell’Eden”, che racconta la storia di un ragazzo orfano che vive in una fattoria. E ancora nella sua stanza la polizia ha trovato, una decina di pacchetti di sigarette, carte da scopa, una scatola di cartone con dentro castagne da cuocere, una confezione spray per pulire il naso, fazzoletti di carta, un mezzo filone di pane, un sacchetto pieno di arachidi, ed anche una web cam. Il rifugio del boss, originariamente era la stanzetta del figlio dodicenne di chi ha coperto gli ultimi giorni della sua latitanza, i coniugi Calamusa. Infatti oltre il letto a misura di ragazzino c’erano una tv e videocassette di cartoni animati, due immagini sacre in cornice, un mitra giocattolo. Oltre ai documenti, poi, prova delle attività illecite di Raccuglia, nello zaino lanciato dal terrazzo, stipati, c’erano 138 mila euro in contanti, conservati in una busta trasparente, una mitraglietta, due pistole di grosso calibro, proiettili e diversi guanti da chirurgo.
Una sorta di kit del killer, vera “vocazione” del “veterinario”, sicario di fiducia, insieme a Michele Traina e Benedetto Capizzi, dell’ex capomafia, ora pentito, Giovanni Brusca. Gli investigatori non escludono che il boss, che ha già cinque ergastoli definitivi per omicidio e una condanna a 20 anni per un delitto tentato, recentemente sia tornato a sparare. Forse prendendo parte personalmente alla faida scoppiata nel territorio di Partinico tra Raccuglia e la cosca di Borgetto, che tentava di opporsi allo strapotere del capomafia riuscito, dopo l’arresto di tutti i principali esponenti del clan Vitale, ad estendere il suo dominio fino al confine con la provincia di Trapani. Una faida con sette vittime, combattuta tra il 2005 e il 2009, che ha fatto della zona di Partinico l’ultima enclave in cui la mafia ha risolto i conflitti interni ricorrendo alle armi.