MAFIA. SU REPUBBLICA INDIZI NELLE INCHIESTE SULLE STRAGI
Misteri di mafia e misteri di Stato. Chiamate fatte da boss e dirette a uffici dei servizi segreti, biglietti con numeri telefonici intestati a capi degli apparati di sicurezza trovati sulla scena del crimine, esperti in bonifica ambientale in contatto con sospetti attentatori. E ancora: agende sparite (quella rossa di Paolo Borsellino), depistaggi, pentiti fasulli o pilotati. Dalle indagini sui massacri avvenuti in Sicilia fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 stanno affiorando complicità e patti, intrecci, una rete di “interessi convergenti”. I giornalisti Attilio Bolzoni e Francesco Viviano de “La Repubblica”, pubblicano anche oggi sul quotidiano gli indizi nelle inchieste sulle Stragi del ’92. Infatti, i procuratori di Caltanissetta hanno riaperto tutte le inchieste sulle stragi ripescando vecchi fascicoli e interrogando nuovi testimoni, ripercorrendo piste frettolosamente abbandonate, scoprendo indizi che si orientano verso quelli che vengono chiamati “i mandanti occulti” o i “soggetti esterni” a Cosa Nostra. Uno degli ultimi personaggi ascoltati dai magistrati –si legge su “Repubblica” è stato Gioacchino Genchi, uno dei protagonisti del “caso De Magistris” a Catanzaro, il consulente che 17 anni fa era con il questore Arnaldo La Barbera alla guida del “Gruppo Falcone Borsellino”, il pool di investigatori che indagò fin dall’inizio sulle stragi. Gioacchino Genchi ha parlato per un giorno intero, il 16 aprile scorso. E alla fine avrebbe indicato una traccia: “Dovete scoprire chi c’era il 19 luglio del 1992 a Villa Igiea perché lì dentro c’era la regia…”.
A Villa Igiea, lo splendido albergo voluto dai Florio sul mare di Palermo, quel pomeriggio ci sarebbero stati – secondo Genchi e secondo quanto scrivono i giornalisti di Repubblica – un ospite speciale che avrebbe praticamente “guidato” le operazioni per l’uccisione di Borsellino. Il consulente avrebbe ricostruito il “movimento” telefonico nei minuti che hanno preceduto l’attentato. Avrebbe accertato che dal cellulare clonato di un’ignara donna napoletana, A. N., sarebbero partite prima alcune chiamate a mafiosi di Villagrazia di Carini (il luogo dove Borsellino quel pomeriggio è partito con la sua scorta), poi alcune chiamate a mafiosi di Palermo e infine – proprio quando l’autobomba è esplosa – l’ultima chiamata sarebbe stata fatta a Villa Igiea. Chi c’era dentro il lussuoso hotel? Chi era l’ospite innominabile che probabilmente i procuratori di Caltanissetta stanno cercando? –si chiedono i giornalisti Bolzoni e Viviano, nel loro articolo.
Un testimone sarà interrogato nei prossimi giorni e probabilmente sarà il pentito Francesco Di Carlo, che nei primi anni ’90 fu rinchiuso in un carcere londinese dove avrebbe ricevuto una visita di quattro uomini. “Tre erano stranieri e uno italiano”, ha risposto qualche anno fa al pubblico ministero Luca Tescaroli. Forse quattro 007. Il pentito Di Carlo non ha mai voluto fare il nome dell’agente segreto, però ha raccontato che gli 007 gli avrebbero chiesto una sorta di “consiglio” su come ammazzare Falcone e Borsellino che tanto stavano dando fastidio a Cosa Nostra e ai suoi traffici. Lo stesso Totò Riina, usò per proprio tornaconto in un’udienza queste rivelazioni di Francesco Di Carlo: “Io con le stragi del 1993 non c’entro niente, chiedetelo a Di Carlo: era lui in contatto con i servizi segreti non io”.
Mafia e servizi, ci sono impronte dappertutto –scrive Repubblica-. Di chi era quel numero di telefono trovato sul bigliettino di carta recuperato a qualche metro da dove Giovanni Brusca fece esplodere l’autostrada a Capaci? Era di L. N., il capo del Sisde a Palermo –continua Repubblica-. “Era un appunto sulla riparazione di un cellulare Nec P 300 che qualcuno dei miei uomini deve avere perso durante il sopralluogo”, ha risposto L. N. Fine della deposizione e fine delle indagini. C’è solo un particolare da ricordare: cellulari di quel tipo – Nec P 300 – sono stati trovati qualche tempo dopo nel covo di via Ughetti, la casa dove si nascondevano i responsabili di Capaci e parlavano – ascoltati dalle microspie – “dell’attentatuni” che avevano preparato.
A chi erano indirizzate le telefonate di Gaetano Scotto – mafioso dell’Acquasanta, imputato dell’inchiesta sull’uccisione del procuratore – poco prima della strage di via D’Amelio? Al castello Utvegio, una costruzione degli Anni Venti che domina Palermo da Montepellegrino. Lì sarebbero stati –si legge ancora su Repubblica- acquartierati alcuni “irregolari” del Sisde, i superstiti di quel carrozzone sfasciato che era l’Alto Commissariato antimafia. Spie.
E che lavoro facevano quei due fratelli di Catania, indagati l’anno scorso per la strage Falcone insieme a un noto imprenditore palermitano, che avevano a che fare con telecomandi a media e a lunga distanza? Avrebbero avuto l’appalto per bonificare alcune “case” dei servizi segreti.
Coincidenze, tutte coincidenze che ora i procuratori di Caltanissetta stanno mettendo in fila e risistemando in un “quadro”.