MAFIA. IL TERRASINESE VITO ROBERTO PALAZZOLO PARLA DELLA SUA LATITANZA CON UN GIORNALISTA DELL’ANSA
Per me rappresenta un grande disonore essere indicato come il tesoriere di Riina e Provenzano, i due più grandi criminali d’Italia. E’ una vergogna essere accusato di avere gestito i patrimoni di questi due, che non ho mai conosciuto. Forse per altri, come ad esempio i pentiti, può essere un vanto, ma per me no”. Rompe il silenzio dalla latitanza Vito Roberto Palazzolo, 62 anni, di Terrasini, ricercato perché condannato definitivamente a nove anni di carcere per associazione mafiosa, parlando con Lirio Abbate dell’ANSA. L’uomo dal 1986 si è rifugiato in Sudafrica dove gestisce attività economiche che riguardano le acque minerali. Negli anni Ottanta il giudice Giovanni Falcone lo accusò sostenendo che era il “cassiere dei corleonesi”, ma i processi che ha subito negli ultimi vent’anni non sono riusciti a dimostrarlo. E adesso che la Cassazione lo ha definitivamente bollato come un boss prende pubblicamente le distanze da Riina e Provenzano, indicandoli come “criminali”. “Sfido la polizia italiana e quella di tutto il mondo, compresi i servizi di intelligence, a trovare una sola transazione che io avrei fatto in passato o nel presente in favore di Riina e Provenzano”, aggiunge Palazzolo, sostenendo di non essere mai stato il tesoriere dei corleonesi. “Dal 1992, da quando si è concluso definitivamente il processo in Svizzera nei miei confronti per riciclaggio – dice Palazzolo – sono sempre stato in Sudafrica e non ho commesso alcun reato. Per questo motivo posso dire che se qualcuno riesce a dimostrare che ho gestito solo dieci euro o dieci lire di Provenzano o Riina, sono subito disposto a trascorrere 30 anni in carcere. L’importante è che queste accuse non si basino soltanto sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Io Riina o Provenzano non li conosco, ma da quello che ho letto, dal loro profilo, si distinguono completamente dal tipo di altre famiglie come Bontate e Calò”. Riferendosi a Riina e Provenzano, il latitante li indica come “due paesani che non hanno mai aperto un conto corrente in banca, perchè non saprebbero nemmeno come fare. E’ gente che ha sempre vissuto nel proprio paese e dubito che possono essere in grado di pensare a come gestire capitali all’estero”. “Credo nella giustizia, l’ho vista operare bene in Sudafrica, e mi rivolgerò alla Corte europea dei diritti umani, dove penso che esponendo i fatti che mi riguardano potrò avere ragione”. Dice ancora dalla latitanza Vito Roberto Palazzolo, durante la sua conversazione con Abbate. Condannato definitivamente per associazione mafiosa, sostiene di essere stato “perseguitato dai magistrati”, e di “subire una grandissima ingiustizia”. Il ricercato sostiene che da novembre 1982 non ha più messo piede in Sicilia. Il nome di Palazzolo, ricercato da diversi anni, è emerso nei giorni scorsi perché il profilo, intestato a un nome che i magistrati indicano come uno pseudonimo utilizzato dal latitante, é comparso su Facebook, scatenando polemiche. E a questo proposito dice: “Smentisco di aver creato questo sito. Non ho alcuna iscrizione su questo social network, nè intendo averla. Ho invece dato mandato ai miei avvocati di denunciare l’autore del profilo su Facebook che e’ ancora ignoto”. Come pure definisce “pura fantasia l’impero economico che io avrei in Sudafrica e di cui si favoleggia. Si parla di una grande fattoria in cui vivo, ma è poca roba, e l’acqua minerale che viene imbottigliata basta appena per tirare avanti la mia famiglia, e non vi sono nè miniere di diamanti nè di oro”. Vito Roberto Palazzolo, i cui parenti vivono tra Terrasini e Partinico, descrive un tenore di vita in Sudafrica molto più basso di quello “favoleggiato” sui mass media. “Lavoro 18 ore al giorno – afferma Palazzolo – e lo faccio in modo legale, senza dedicarmi al crimine. In Sudafrica sono arrivato dalla Svizzera, dove sono andato via non avendo avuto mai nemmeno una multa per eccesso di velocità. Si è solo verificato un ‘incidente di ‘percorso’ che mi ha portato sotto processo per riciclaggio, dove sono stato condannato perché i giudici hanno riconosciuto che ero stato costretto a violare la legge sul trasferimento di somme di denaro dagli Stati Uniti alla Svizzera, a causa di minacce ricevute. Quando ho capito dove mi sono andato a trovare, una volta scontata la pena, me ne sono andato via di notte per non avere più contatti con queste persone”.(