SGOMINATA FITTA RETE DI FAVOREGGIATORI CHE DA ANNI COPRE LA LATITANZA DEL BOSS MATTEO MESSINA DENARO
Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Una fitta rete che da anni copriva il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emessi dal gip del tribunale di Palermo. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Messina Denaro. Nell’operazione, denominata “Golem”, sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. Tra gli arrestati c’è anche l'”ambasciatore” di Messina Denaro. Il boss infatti non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo: inviava sempre un suo uomo di fiducia, Franco Luppino. Il latitante insomma non voleva avere contatti diretti con i Lo Piccolo che nel frattempo stavano avanzando su tutta Palermo. Forse perché non li riteneva ancora al suo livello nella scala gerarchica di Cosa nostra. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, anche quest’ultimo arrestato stamani, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli indagati, infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attività economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata. Il boss controllava anche un vasto traffico di droga che arrivava settimanalmente da Roma, gestito da Domenico Nardo, Franco Indelicato e Leonardo Bonafede. Della rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro fa parte pure un cugino del boss trapanese; secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti a imprenditori. In base alle indagini, inoltre, i boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all’esterno del carcere messaggi che erano anche diretti a Messina Denaro. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell’inchiesta Golem. Le perquisizioni sono state disposte negli istituti di pena dell’Abruzzo, della Campania, della Calabria e della Sicilia. Fra i boss in cella ci sono Mariano Agate, 70 anni, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, detenuto da 15 anni, condannato a diversi ergastoli; Filippo Guttadauro, 58 anni, cognato di Messina Denaro, arrestato nel luglio 2006, indicato nei pizzini che si scambiavano Bernardo Provenzano e Messina Denaro, con il numero ‘121’. Gli investigatori, durante le prime perquisizioni hanno acquisito diversi elementi importanti, già al vaglio degli inquirenti, e per questo motivo stanno valutando la possibilità di chiedere al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria l’immediato trasferimento di alcuni detenuti in altri istituti di pena. I provvedimenti di custodia cautelare sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Oltre all’esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all’organizzazione. I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell’Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.